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Kingdom Come: Deliverance, sei mesi dopo – Cos’è cambiato?

Non è passato troppo tempo dal 13 febbraio, data in cui Kingdom Come: Deliverance ha visto la luce sul mercato videoludico dopo uno sviluppo abbastanza travagliato, scandito per lo più dai tempi del crowdfunding. Rinfreschiamo brevemente la memoria a chi ha dimenticato cosa sia Kingdom Come: Deliverance e cosa ci sia alle sue spalle. KC:D è un gioco di ruolo, ambientato nella Boemia ai tempi del Sacro Romano Impero, di stampo fortemente realistico e focalizzato su dinamiche di gameplay in larga parte innovative per il mercato dei giochi di ruolo (odierni e non solo). Il team di sviluppo è Warhorse Studios, indipendente, finanziato in parte tramite crowdfunding ed in parte dalle tasche del milionario ceco Zdeněk Bakala: ciò significa che KC:D è nato e resta come un titolo indie, nonostante i suoi connotati possano farlo rientrare nella schiera dei tripla A.

Come molti di voi ricorderanno dalla nostra recensione, Kingdom Come: Deliverance è stato concepito con dei grossissimi limiti, sia a livello tecnico sia di gameplay, ma nonostante questo la critica internazionale ha riconosciuto al titolo il merito di aver ridefinito i canoni dei giochi di ruolo. In un mercato dominato sempre più dalla frivolezza dei contenuti e da gameplay “massificati”, con un occhio di riguardo quasi sempre al multiplayer, il team di Warhorse ha remato controcorrente, gettando nella mischia un qualcosa di radicalmente opposto a quanto abbiamo visto nei nostri schermi nel corso degli ultimi tre/quattro anni. Estremo realismo in ogni dettaglio, profondità a livello narrativo, contenuti a dozzine, nessun comparto multiplayer e difficoltà generale elevata: da quanto tempo non sentivamo attribuire queste caratteristiche ad un videogioco?

Quel che era Kingdom Come: Deliverance, sei mesi fa

Per capire quale sia un punto d’arrivo è sempre logico ricordare innanzitutto il rispettivo punto di partenza. All’incirca sei mesi fa Kingdom Come: Deliverance faceva il suo debutto sul mercato videoludico, un debutto che di certo non è passato inosservato dopo il grandissimo hype creato attorno. Hype giustificato, a modo nostro: già dai trailer e dalle promesse di Warhorse Studios si percepiva come KC:D non sarebbe stato un comune gioco di ruolo dove esplorare, combattere e completare quest. I paragoni con le pietre miliari del genere cominciarono a fioccare già dopo le prime informazioni, e stiamo parlando principalmente di The Witcher e The Elder Scrolls: suona strano come, a posteriori, in pochissimi avrebbero pensato di compiere dei paragoni (in larga parte) errati, perché le due saghe appena citate e KC:D hanno in realtà caratteristiche da spartire solo superficialmente. Ci riferiamo alle più generiche: esplorazione, combattimento, crescita del personaggio, skills, quest/sub-quest, equipaggiamenti e così via.

Kingdom Come: Deliverance è stato pensato per radicalizzare questi concetti, appartenenti a quasi tutti i GDR contemporanei, e per crearvi attorno una cornice di realismo che, a conti fatti, è riuscita da subito a stupire i videogiocatori. Ecco che un “banale” combattimento di un GDR occidentale diventa, secondo KC:D, occasione d’immergersi in un autentico duello cappa e spada; una classica quest di ricerca di un oggetto si trasforma in un’avventura più o meno pericolosa, in base al proprio personale fiuto per i guai; un equipaggiamento, piuttosto che un altro, ha ripercussioni non solo sulla propria difesa, ma anche sull’immagine trasmessa ad un mondo vivo e critico nei confronti del protagonista. Sono queste le solide basi che, ancora oggi, sorreggono Kingdom Come: Deliverance e lo fanno spiccare nell’orizzonte dei giochi di ruolo, e che fanno sognare i giocatori in cerca di una vena realistica ad oggi appartenente solo al titolo di Warhorse Studios.

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Proprio sei mesi fa, però, metaforicamente potremmo dire che una fitta nebbia avvolse il lancio di KC:D sul mercato dei videogiochi. Dal giorno del lancio a qualche mese in seguito gli aspetti più belli e innovativi di Kingdom Come: Deliverance sono stati “oscurati” da alcuni guai tecnici davvero pesanti, almeno sulla versione console del titolo, che hanno letteralmente smorzato l’hype generatosi all’inizio. Va chiarito che la complicità appartiene in gran parte alla natura di Warhorse Studios: stiamo parlando pur sempre di uno studio indipendente che non dispone degli stessi finanziamenti delle aziende major.

C’era da aspettarsi un debutto non esente da problemi (a dirla tutta, problemi tecnici gravi si riscontrano oramai in quasi tutte le release, anche di aziende blasonate e di titoli tripla A), tuttavia le problematiche non possono essere trascurate se rendono impossibili alcuni frangenti di gameplay. In primis il gioco ha sofferto, per un buon periodo antecedente alla prima patch degna di nota, di pesanti cali di frame rate e pop-up, oltre a innumerevoli bug e glitch relativi a svariate quest e azioni da compiere necessariamente per proseguire nella storia. La maggioranza di questi problemi sono stati risolti in seguito, certo: peccato che, facendo una media approssimativa, il peso delle patch di Kingdom Come: Deliverance si è sempre aggirato attorno ai 15 GB. Erano ben 28 i GB di patch al day-one, cifra spropositata che è stata seguita da altri aggiornamenti della dimensione di 20 GB, 10, 4 ed infine 2 GB, l’ultimo in ordine cronologico. Non è di certo la prima volta che vediamo un susseguirsi di patch così pesanti, ma se consideriamo la qualità media delle connessioni italiane è facile capire come sia fastidioso per moltissimi giocatori ricevere update di tali dimensioni.

Quello che offre oggi Kingdom Come: Deliverance

Ci ritroviamo dunque a sei mesi di distanza dal debutto del gioco, reduci da svariati aggiornamenti che ne hanno cambiato più o meno le sorti. Dopo averlo rigiocato ci siamo interrogati a fondo su cosa possa rappresentare oggi un gioco come KC:D, e ci siamo focalizzati sui cambiamenti apportati dalle patch nel tempo. Kingdom Come: Deliverance oggi rappresenta a nostro modo di vedere un talento inespresso, un potenziale capolavoro che, nonostante le sostanziose patch introdotte da Warhorse, presenta ancora dei limiti che dipendono dalla struttura stessa del titolo, piuttosto che da limiti tecnici.

Partiamo da quanto di buono può offrire KC:D. E’ impossibile non riconoscere prima di tutto la qualità espressa dalla narrazione. Ci siamo finalmente trovati di fronte ad una storia matura e intricata al punto giusto, caratteristiche narrative che non si vedevano da tempo in un videogame. Dopo The Witcher 3, forse l’ultimo degno esponente di questo stampo narrativo, siamo tornati a percepire l’ebbrezza della scelta, la paura nel dover esprimere una frase o un’altra, la consapevolezza di essere pienamente padrone del destino di un protagonista. In tal senso Kingdom Come: Deliverance esce dallo schema delle “frasi fatte”, che ci fanno scegliere solo se rispondere con arroganza, gentilezza o furbizia, azzardando (con successo) un sistema di dialoghi a dir poco unico: una frase apparentemente fuori posto può celare in realtà la soluzione al problema, così come una frase accondiscente e affabile può scatenare una serie inarrestabile di vicende spiacevoli.

Fanno brillare ancora oggi KC:D i piccoli dettagli di realismo citati prima. Alcuni esempi: indossare un’armatura lucente farà apparire Henry, il protagonista, come una figura di spicco nella società, influenzando l’opinione degli interlocutori e creando suggestione negli stessi; girovagare da straccioni chiaramente creerà l’effetto contrario; trasportare troppo peso causa danni alla salute; lo stesso vale per ferite sanguinanti, condizioni di fame e stanchezza e così via. Sono tutti esempi già portati nella recensione, e potremmo andare avanti ancora, ma siamo sicuri che già questi fanno capire di che pasta sia fatto il gioco.

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E’ un peccato che l’elevato realismo di Kingdom Come: Deliverance, vero e proprio cavallo di battaglia della produzione di Warhorse Studios, si sia rivelato nel tempo un’arma a doppio taglio, capace tanto di avvicinare giocatori hardcore quanto di allontanare tutta la (folta) schiera di giocatori più o meno esperti. Tanto per fare un esempio, ritrovarsi a combattere contro più di tre nemici a bassi/medi livelli si trasforma in un incubo, ancora oggi: le patch su PS4 oltretutto non hanno risolto i problemi di lag che affliggono molti dei combattimenti multipli, rendendoli spesso impossibili. Fortunatamente esistono modi per schivare queste situazioni ma, inevitabilmente, in questo modo tutto viene posticipato, rimandato. Il farming diventa in tal senso quasi obbligatorio ed estremamente pesante, perché obbliga a compiere quest secondarie (non sempre interessanti) per racimolare soldi ed acquistare nuovi equipaggiamenti più potenti, o per esercitarsi a pagamento presso i campi d’allenamento.

A ciò affianchiamo i problemi di natura tecnica che affliggono ancora il gioco su console: i lag non sono stati rimossi del tutto, e perciò capita spesso di incappare in combattimenti contro molteplici nemici dove il frame rate cala drasticamente nel bel mezzo della disputa, facendoci uscire ammazzati troppo spesso. Sempre nei combattimenti può succedere di assistere a fendenti e stoccate che non vanno a buon fine, incastri in oggetti dell’ambiente e glitch grafici di varia natura: tutti problemi che avevamo già segnalato nella recensione e che, purtroppo, a distanza di sei mesi Warhorse ha risolto solo parzialmente.

D’altro canto c’è da ammettere che Warhorse ha proseguito il suo supporto a Kingdom Come: Deliverance annunciando alcuni DLC: il primo ad essere pubblicato è stato From the Ashes, che introduce la possibilità di gestire interamente un villaggio con le sue costruzioni, politiche e così via. Di sicuro una release apprezzabile, che aggiunge alcune caratteristiche di gameplay forse assenti in un titolo come KC:D, tuttavia l’espansione non è riuscita pienamente nel suo intento: si tratta di un DLC alquanto povero sotto il profilo dei contenuti, rivelatosi per lo più uno sfizio riservato agli appassionati più ferrei. Di certo, se l’intenzione di Warhorse è stata quella di attirare l’attenzione nuovamente su KC:D, a nostro modo di vedere si sarebbe potuto fare di più. Confidiamo nei prossimi update.

La possibile rinascita di un GDR rivoluzionario

A conti fatti, lo ribadiamo, il talento inespresso di Kingdom Come: Deliverance dipende in larga parte da guai tecnici e da una struttura di gameplay parecchio ostica, che sembra destinata quasi ed esclusivamente ai giocatori più navigati. In realtà qualcosa si potrebbe fare, per rilanciare la fama del titolo. Ad esempio introdurre diversi gradi di difficoltà, assenti per chi non lo sapesse, e ribilanciare un po’ tutte le meccaniche di gameplay. I problemi più gravi riguardano ancora la parte tecnica, e su questo aspetto (almeno su PS4 Fat, console su cui giochiamo) Warhorse dovrà lavorare sodo per portare quel poco di stabilità che, ad oggi, manca. Tutte queste critiche non tolgono a KC:D i meriti di aver stravolto gli standard dei giochi di ruolo. Rifacendosi a saghe già storiche come The Elder Scrolls e The Witcher, e aggiungendovi caratteristiche di gameplay viste pochissime volte nella storia dei videogiochi, Kingdom Come: Deliverance è riuscito a issare la propria bandiera, trasformandola in una pietra miliare cui molte software house dovrebbero guardare come meta.

Sei mesi dopo, quindi, riconfermiamo le nostre impressioni e le nostre aspettative già espresse nella recensione. Noi attendiamo Warhorse con qualche update definitivo, ma nel frattempo vi invitiamo a leggere i dettagli sui prossimi DLC attesi, annunciati nel corso della Gamescom.

Scritto da
Alberto Baldiotti

Studente universitario e gamer nel tempo libero, la sua passione videoludica non ha confini. Questa passione nasce a 4 anni, quando si ritrova a giocare Doom II su un vecchio computer acquistato dal padre. Appassionato di giochi open-world e GDR, le sue pietre miliari sono le serie di Grand Theft Auto, Fallout e The Elder Scrolls. A fianco di ciò, la tecnologia e lo sport giocano un ruolo fondamentale nei suoi interessi, ed adora restare informato sulle ultime novità nei rispettivi settori.

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