Home Videogiochi Recensioni [Recensione] The Inpatient – L’inizio della follia

[Recensione] The Inpatient – L’inizio della follia

Quando Supermassive Games si gettò sul mercato con Until Dawn, esclusiva horror PS4 che nel 2014 raccolse grandi consensi, forse nessuno degli sviluppatori si aspettava quel successo. La possibilità di scegliere tra le numerose vie narrative con finali a sorpresa, la presenza di un importante cast tra le cui fila trovammo attori del calibro di Brett Dalton (Agents of SHIELD), Rami Malek (Una notte al museo, Mr. Robot) e Hayden Panettiere (Heroes), e atmosfere azzeccate decretarono una fenomenale risposta del pubblico e della critica, tanto da spingere Sony a puntare sempre con maggiore frequenza sullo studio britannico e a lasciarlo sperimentare su più fronti. La gamma PlayLink, ad esempio, con Hidden Agenda del quale vi abbiamo parlato qui, ma anche il PlayStation VR, periferica di grande rilievo per le strategie del colosso giapponese. Tutto questo senza abbandonare il gioco che ha regalato la notorietà al gruppo, come sappiamo. E dopo Until Dawn: Rush of Blood, spin-off uscito nel 2016, Supermassive Games decide di esplorare un ulteriore aspetto dell’universo narrativo di Until Dawn con The Inpatient, nuova esclusiva PS VR ambientata 60 anni prima dei fatti che conosciamo e incentrata sull’inquietante sanatorio di Blackwood. Abbandonate ogni speranza, voi che leggerete questa recensione, perché la follia sarà il vostro pane quotidiano nel sanatorio di The Inpatient. Io vi avevo avvisati…

LA FOLLIA È COME LA GRAVITÀ… BASTA SOLO UNA PICCOLA SPINTA

Al centro di The Inpatient ci siamo noi, il paziente, e la nostra breve (o forse no) “vacanza” al sanatorio di Blackwood. Il manicomio è una vecchia conoscenza dei giocatori di Until Dawn, apparso varie volte nel corso del gioco e all’interno del quale sappiamo essere successo qualcosa di terribile. Ed è proprio qui che, nel 1952, Supermassive Games ci porta, proprio nel momento di maggiore crisi dell’istituto. Un grande male si è infatti risvegliato, e tutti i residenti di Blackwood, dalle infermiere ai pazienti ai dottori, sono in grande pericolo. Fuggire è l’unica via.

The Inpatient basa la sua storia su alcuni fatti che sappiamo essere accaduti dalla storia di Until Dawn ma esplorandone la tragica realtà dal punto di vista di qualche ignoto paziente del sanatorio di Blackwood che li ha vissuti in prima persona. Come nel miglior gioco horror che si rispetti, anche l’ultimo gioco di Supermassive gioca sulle sensazioni e sulle percezioni umane, ponendoci di fronte ad ambientazioni ansiose ed evocative al punto giusto, restituendo il disagio che i pazienti di un sanatorio come questo potevano provare con alcune scelte narrative importanti e riuscite. Passeremo ad esempio buona parte del tempo nella nostra stanza – o cella, per meglio dire – in compagnia di personaggi ambigui che sembrano nascondere più di un segreto, continuando a farci domande su ciò che sta accadendo in questo dannato posto dimenticato da Dio. Se l’intento degli sviluppatori era quello di tenerci incollati il più possibile allo schermo, alla ricerca di piccoli indizi che potessero farci formulare teorie sui fatti di Blackwood, questo è perfettamente riuscito. Nelle 2 ore e mezza circa che occorreranno per portare a termine una run di The Inpatient più di una volta ci fermeremo a riflettere e prendere fiato, e non solo per le inquietanti sorprese che ci aspettano nella nostra permanenza nel folle sanatorio ma anche per venirne a capo. Chi ha compiuto questi efferati crimini? Cosa è veramente Blackwood? Cosa nasconde l’enigmatico dottor Jefferson Bragg?

Se vi siete soffermati alla durata citata pocanzi, sappiate che Supermassive ha pensato bene di riproporre la vincente formula di Until Dawn. Così come nel gioco del 2014 era necessario esplorare a fondo la storia più volte per scoprirne tutti i dettagli e le sfaccettature, anche nel prequel ambientato nel sanatorio di Blackwood saremo padroni del nostro destino e saremo noi a “scrivere” la storia. Nel corso della narrazione saremo infatti più volte chiamati a compiere scelte nei dialoghi, alcune apparentemente insignificanti e altre invece importantissime ai fini della trama, contraddistinte queste dall’apparizione di alcune farfalle a schermo. Proprio come Until Dawn, anche The Inpatient, infatti, si basa sul cosiddetto Effetto Farfalla, una locuzione appartenente al grande concetto della teoria del caos e che sostanzialmente afferma che ogni piccola azione, come lo sbattere delle ali di una farfalla, può provocare variazioni significative e incontrollabili. In questo caso, il famoso battito d’ali che può provocare un uragano in Giappone siamo noi e le nostre scelte, che ci porteranno ad assistere a più finali. In questo momento non so dirvi il numero esatto di finali contenuti in The Inpatient: al momento in cui vi scrivo questa recensione, sono stato capace di scoprirne tre differenti, ma sono quasi sicuro, dopo aver consultato la lista dei Trofei altamente spoilerosi, che ce ne siano almeno altrettanti da scoprire. Purtroppo però non tutti questi finali hanno saputo soddisfare. Alcuni di essi, infatti, appaiono sconclusionati, affrettati e lascianti fin troppo poco tempo a personaggi potenzialmente curiosi. Non fate comunque l’errore di pensare di aver terminato la vostra esperienza su The Inpatient dopo le prime 2 ore e 30 minuti. Tra gli effetti dell’Effetto Farfalla (scusate il gioco di parole) e i misteriosi ricordi da recuperare, frutto della nostra amnesia altrettanto enigmatica, il gioco porta via ben più ore, variando l’esperienza quanto basta per potersi ritenere adeguata e soddisfacente.

LENTAMENTE

Alcune delle scelte narrative di The Inpatient fanno discutere. La scelta di rinchiudere il protagonista, cioè noi, all’interno di una cella del sanatorio per molto tempo può dare molto l’idea della prigione, del senso claustrofobico, dell’impossibilità di muoversi e di essere totalmente inerme, senza avere la possibilità di lamentarsi, agitarsi, ribellarsi. Anche la vostra mente, che nel frattempo sta continuando a viaggiare se seguiamo i piccoli indizi sparsi di tanto in tanto dagli sviluppatori, inizierà a far fatica a sopportare questa condizione, immergendoci ancor di più nel malessere dei disgraziati capitati al Blackwood all’epoca dei fatti del 1952. Ma il gioco mantiene ritmi lenti, forse fin troppo lenti, anche nella seconda parte della storia, quando un apparentemente inspiegabile fatto ribalterà tutto quello che conosciamo e che abbiamo vissuto facendocelo vedere sotto un’altra luce e trasformando radicalmente l’esperienza, che passa dalla fantasia malata e confusa di un uomo che soffre di amnesia ad una crudissima realtà in cui i poteri sovrannaturali che albergano a Blackwood si sono risvegliati. Il fatto scatenante dà certamente una scossa all’azione di gioco, consentendoci di comunque continuare il nostro viaggio interiore a caccia della verità, ma visti i temi e gli avvenimenti della seconda parte di gioco questi cozzano contro l’estrema lentezza dell’azione e dei personaggi. Senza rivelare spoiler, vi basti sapere che ciò che accade meriterebbe tutt’altra velocità di azione e pensiero, ma The Inpatient rimane saldamente fisso ai propri principi. Sbagliando, secondo noi. Di contro, il povero ma ragionato gameplay puro sfrutta i nostri movimenti e addirittura la nostra voce per farci sentire pienamente al centro del gioco. Spostando in avanti il Joypad, ad esempio, saremo in grado di aprire porte o prendere oggetti, mentre le scelte potranno essere scandite anche a voce da noi stessi, come se stessimo rispondendo ai personaggi. Certo, chi vi circonda nelle sessioni di gioco vi potrebbe prendere per pazzo, ma in fondo siamo nel sanatorio di Blackwood. Qui la follia è di casa.

Snocciolati i giudizi su un gameplay poverissimo dove l’interazione è ridotta all’osso ma efficace, e una storia in grado di colpire le corde giuste delle emozioni ed essere esplorata più volte, vediamo qualcosa riguardo la questione meramente tecnica del gioco di Supermassive. Con il VR indossato, The Inpatient risulta un titolo molto ben realizzato sotto il profilo grafico, con ottime texture e giochi di ombre (dinamiche, specifichiamo, perché non è ancora una cosa così scontata oggi) che sanno restituire un bel colpo d’occhio, funestato però da un continuo sfarfallio degli effetti luminosi in lontananza che non ci aspettavamo. Quasi totalmente assente la musica, e difatti l’arduo compito di stimolare l’apparato uditivo viene dato ai suoni e ai rumori, azzeccando perfettamente la scelta e contestualizzandola alla perfezione. Esistono però alcuni difetti che minano quantomeno la visione dell’insieme, ma che fortunatamente non hanno impatto sull’esperienza di gioco. Le texture degli esterni, infatti, risultano a bassa risoluzione e prive di qualsiasi filtro antialiasing con il conseguente sgradevole effetto “seghettatura” dei limiti. Alcune animazioni, inoltre, si attivano con qualche istante di ritardo e talvolta a scatti,  anche se c’è da aggiungere che per quanto riguarda i modelli dei personaggi e i loro movimenti è stato fatto un grande lavoro. Ci aspettiamo che alcuni dei difetti vengano corretti con patch future, anche se come detto, a conti fatti, sono difetti di poco conto.

PUNTI DI FORZA

  • Tanti finali da scoprire
  • Atmosfere perfette
  • Buon comparto tecnico…

PUNTI DEBOLI

  • In certi momenti il ritmo è davvero troppo lento
  • Alcuni finali sembrano sconclusionati
  • Interazione minima
  • … Ma qualche imperfezione grafica

La nuova esperienza horror di PlayStation VR, The Inpatient, è un piccolo  gioiellino mancato. Esattamente come ad Until Dawn è mancato qualcosa per essere considerato a suo tempo un’esclusiva  imperdibile di PS4, anche al prequel del gioco sempre prodotto da Supermassive Games sembrano venire meno alcuni elementi e caratteristiche come ad esempio una grinta maggiore o un ritmo più serrato che non avrebbero certamente fatto male. L’atmosfera creata per dare vita all’inquietante sanatorio di Blackwood, con tanto di ambigui personaggi come il dottor Bragg, calza a pennello con le intenzioni del team, che ha voluto dare vita ad un’esperienza immersiva e intensa e nella quale il giocatore sembra chiamato in prima persona a dover fuggire dal manicomio. La durata di una run di gioco si attesta intorno alle 2 ore/2 ore e 30 minuti circa, ma fortunatamente  The Inpatient poggia sul concetto dell’effetto farfalla e dell’importanza che le nostre scelte hanno sul futuro della storia. Come per Until Dawn vi serviranno quindi più partite per osservare tutto di questo nuovo ed angosciante capitolo dell’universo narrativo che Supermassive sta mettendo in piedi. Ma i momenti di gioco vero e proprio, purtroppo, sono molto pochi.

Ringraziamo Sony Interactive Entertainment per il codice review di The Inpatient.

Scritto da
Andrea "Geo" Peroni

Entra a contatto con uno strano oggetto chiamato "videogioco" alla tenera età di 5 anni, e da lì in poi la sua mente sarà focalizzata per sempre sul mondo videoludico. Fan sfegatato della serie Kingdom Hearts e della Marvel Comics, che mi divertono fin da bambino. Cacciatore di Trofei DOP.

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