Home Cinema Il fenomeno dei Brand Movies, cosa sono e cosa ci dicono sul cinema di oggi

Il fenomeno dei Brand Movies, cosa sono e cosa ci dicono sul cinema di oggi

Cosa succede quando la pubblicità incontra il cinema? In realtà un sacco di cose, come il product placement, le collaborazioni tra marchi famosi e franchise cinematografici (come la recente collaborazione tra Prada e Marvel, o quella più scanzonata tra Crocs e Shrek), oppure i cosiddetti Brand Film, ovvero dei corti di pochi minuti, spesso diretti da registi famosi, che servono ad esprimere l’identità del brand, ma in maniera molto più “artistica” e “d’avanguardia” di uno spot normale, una sorta di “pubblicità d’autore” (come Castello Cavalcanti di Wes Anderson o The Key to Reserva di Martin Scorsese).

Ma ultimamente sembra esserci un altro tipo di prodotto che mescola queste due grandi realtà; quelli che io chiamo i brand movies. I brand movies sono dei veri e propri lungometraggi che servono a promuovere l’identità di un certo brand, creando un mondo e una storia (inventata o basata su eventi realmente accaduti) in linea con la loro filosofia. Molto spesso, le aziende stesse giocano un ruolo importante nella creazione di questi film, vestendo i panni dei produttori, come la Mattel, la Lego e quella con il nome più tamarro di tutte, la Lambo Film (produttrice del film Lamborghini – The man behind the legend). Le aziende, con questi film, non mirano a vendere un semplice prodotto, ma a diffondere la propria identità.

Prima di iniziare ad analizzare questa categoria vanno fatti un paio di disclaimer. Il primo è che categorizzare determinati film all’interno di questo gruppo, non corrisponde automaticamente a denigrare la loro qualità effettiva. Il secondo è che questa categoria di film è solo un mio esperimento per cercare di comprendere meglio le varie direzioni che il cinema sta prendendo e il suo continuo mutamento come mezzo e non solo come forma d’arte. Quindi ogni modifica o ogni consiglio sul metodo di categorizzazione è ben accetta (potete trovare una lista completa di brand movies in continuo aggiornamento su Letterboxd).

Brand movies originali

Ci sono due tipi di brand movies: quelli che raccontano storie inventate e quelli biografici (che si basano su eventi realmente accaduti). Tutti e due hanno il comune obiettivo di espandere il folclore e l’immaginario legato al brand, ma lo fanno in modi diversi.

I primi (come Barbie o The Lego Movie) ruotano attorno a una storia con un messaggio perfettamente in linea con l’identità dello specifico brand. Ad esempio, nel film di Greta Gerwig vediamo che con Barbie puoi essere davvero ciò che vuoi andando contro gli stereotipi, mentre nel film di Phil Lord e Christopher Miller possiamo notare come con i Lego puoi liberare l’immaginazione e costruire l’impossibile. Tutto questo si svolge in mondi che sottolineano e evidenziano l’immagine che il brand vuole dare di sé. Come gli uffici moderni pieni di scivoli ed open space che ti invogliano a lavorare alla Google in Gli Stagisti, o il mondo eroico e pieno d’azione militaresca associata al gioco di Battaglia Navale in Battleship. Il world-building, in questo tipo di film, svolge un ruolo centrale, simile a quello dei negozi che vengono pensati per dare la sensazione al cliente di entrare nel mondo del brand, come dei piccolissimi Disneyland dedicati al singolo marchio.

Questo tipo di film è diverso dai film tratti da videogiochi o giocattoli, in quanto costruiscono da zero un mondo e una storia (ovviamente basandosi sui prodotti del brand) che possa tradurre in forma cinematografica l’identità del brand stesso. Mentre nei film tratti da videogiochi (come Uncharted o Super Mario Bros il film) o da giocattoli (come la saga dei Transformer) vengono adattate delle storie già esistenti all’interno del prodotto su cui si basano, nello stesso modo in cui un libro o un fumetto vengono adattati per il cinema. In questo senso, questo tipo di brand movies, possono essere visti come degli adattamenti cinematografici di pubblicità o, più astrattamente, di identità aziendali.

Brand movies biografici

Il secondo tipo di brand movies consiste nei biopic che raffigurano la creazione o il raggiungimento di un traguardo importante per l’azienda in questione. Gli eventi che vengono raccontati non solo celebrano la storia del brand, aumentando l’attaccamento che le persone possono avere con esso, ma esprimono anche la filosofia identitaria dell’azienda. In Air – La storia del grande salto, non solo vediamo come la Nike sia riuscita a convincere Michael Jordan a collaborare con loro, ma mostra anche una storia motivante di ambizione e intraprendenza; ovvero le parole chiave di tutta la comunicazione del loro brand (il monologo che il personaggio di Matt Damon fa a Michael Jordan rispecchia perfettamente questo aspetto, non a caso è accompagnato da un montaggio che richiama lo stile pubblicitario della Nike).

Esistono però dei biopic che hanno a che fare con la nascita di brand famosi (come The Social Network) che però non ricadono in questa categoria. Questi film non sono da considerarsi veri e propri brand movies in quanto cercano di criticare la filosofia del brand e mostrare soprattutto i lati negativi dell’azienda e della personalità che ne è a capo. L’esempio più lampante è dato dal confronto tra due film con lo stesso soggetto, ma incredibilmente differenti: Jobs (2013) con Ashton Kutcher e Steve Jobs (2015) con Michael Fassbender. L’ultimo, diretto da Danny Boyle, ci mostra uno Steve Jobs manipolatore e megalomane, in cui la Apple fa solo da sfondo all’egomania di un uomo che non fa altro che allontanare chiunque gli stia vicino. Mentre nel film di Joshua Michael Stern del 2013, questi aspetti negativi della personalità di Steve Jobs  vengono rappresentati come le caratteristiche fondative del lato ribelle che ha sempre contraddistinto l’identità del brand Apple. Infatti, in questo film viene speso la maggior parte del tempo a mostrare la fondazione e il successo dell’azienda, mentre questi aspetti vengono a malapena toccati nel film del 2015. Questo accade anche in The Social Network (2010) in cui la creazione di Facebook viene rappresentata come il risultato dell’invidia e del rancore immotivato di Zuckerberg verso chiunque non gli dia ragione, e anche in The House Of Gucci (2022) in cui la famiglia Gucci appare come una famiglia completamente corrotta dal potere e dall’avidità.

Perché proprio adesso?

Solo quest’anno sono uscite ben 6 pellicole che possono ricadere nella categoria dei brand movies (Barbie, Wish, Tetris, Air – La storia del grande salto, Flamin’ Hot, Gran Turismo – La storia di un sogno impossibile). E, soprattutto dopo il successo di Barbie, si può prevedere che l’interesse dei brand verso questo tipo di film possa aumentare esponenzialmente, facendo si che i brand movies diventino sempre più comuni nel panorama cinematografico futuro.

La presenza sempre meno rara di queste pellicole, si può motivare dall’associazione di due principali fattori. Il primo consiste nella necessità da parte delle aziende di costruirsi una propria identità e rafforzarla, diffondendola attraverso i più disparati strumenti di marketing (come pubblicità, profili social, siti web e in questo caso il cinema). Un bisogno relativamente recente, dato dal sovraccarico di brand che rende sempre più centrale la necessità di distinguersi da essi per sopravvivere alla concorrenza.

Il secondo fattore, invece, è dato dalla tendenza delle grandi major cinematografiche di puntare su IP (proprietà intellettuali) già conosciute dal grande pubblico, con un forte fandom già pronto a comprare biglietti e fare la fila davanti al cinema. Un trend nato circa vent’anni fa con il successo dei film di Harry Potter e della trilogia del Signore degli Anelli, ma che sembra venire messo in dubbio proprio quest’estate dai flop di blockbuster come Indiana Jones e il quadrante del destino, Transformers – Il risveglio e il più recente The Marvels.

Quindi, se da un lato i brand movies sono perfetti per diffondere l’identità delle aziende, svolgendo così un compito fondamentale per le loro strategie marketing, dall’altro rappresentano un immaginario già conosciuto dal grande pubblico, che, spinto dalla curiosità e dal possibile legame affettivo sviluppato col brand, si traduce in poltrone occupate.

Dal punto di vista commerciale questa sembra essere una situazione in cui tutte e due le parti in gioco (aziende e major) ne escono vincenti, ma dal punto di vista del cinema come forma d’arte, questa non sembra per niente essere una situazione vincente. Non tanto per i singoli film (Barbie, ma soprattutto The Lego Movie sono due film qualitativamente ottimi) ma per quello che questo fenomeno rappresenta, ovvero il cinema percepito da chi lo produce come mero strumento, ovvero come un qualcosa senza valore in sé. Un prodotto che ha valore solo quando compie efficacemente delle funzionalità economiche, come vendere biglietti, creare un merchandising appetibile o, in questo caso, creare e diffondere un’immagine positiva di un certo brand, pubblicizzandolo. Ovviamente una visione artistica si può applicare a fini commerciali, come hanno dimostrato Greta Gewrig, Chris Miller e Phil Lord creando dei brand movies di qualità, ma il fenomeno in quanto tale dimostra una percezione sbagliata del cinema da parte di chi lo produce. Questa percezione sbagliata si è ormai consolidata nel corso degli anni e a pagarne le conseguenze sono le pellicole che non sono guidate da fini economici, che vengono visti dai grandi produttori come di poco valore e di conseguenza, inutili da produrre.

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