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Pinocchio di Robert Zemeckis, la favola senza tempo | Recensione

I live action di casa Disney ispirati ai grandi classici animati del passato sono riconducibili sostanzialmente a due filoni. Il primo è quello di pellicole che vogliono trovare una propria identità, epslorare nuovi orizzonti pur guardando con un occhio al passato – vedasi Maleficent o Crudelia. Il secondo è invece quello di film che cercano di restare il più possibili fedeli al materiale originale, con il solo scopo quindi di “rimasterizzare” i capolavori del passato proponendoli in salsa live action – La Bella e la Bestia, Cenerentola ma soprattutto Il Re Leone di Jon Favreau che ricalca alla perfezione ogni singola inquadratura dell’originale lungometraggio del 1994.

Proprio come il Dumbo di Tim Burton, o l’apprezzatissimo Aladdin di Guy Ritchie che ha incassato talmente tanto da convincere Disney a mettere in cantiere un sequel, anche il Pinocchio diretto da Robert Zemeckis si adagia nel limbo tra queste due categorie di film firmati da Topolino, riproponendo agli spettatori l’indimenticabile capolavoro del 1940 con qualche licenza poetica che si prende la briga di raccontare alcuni eventi in altro modo e approfondire qualche personaggio. Un intento nobile, ma in fin dei conti la sostanza non cambia, e il tutto finisce col ricondurre alla solita domanda che da anni ci poniamo: i live action Disney di questo stampo nascondono davvero un’anima?

Pinocchio è quella favola senza tempo nata dal grande Carlo Collodi, ed elevata a simbolo della cultura mondiale anche grazie al film animato del 1940. Nel ’35, ancor prima della nascita di Biancaneve e i sette nani, un’amica di Walt Disney gli suggerì l’idea di adattare un particolare romanzo che aveva spopolato in Italia e non solo, tanto da diventare anche uno spettacolo teatrale a Los Angeles nel 1937. Durante il suo viaggio in Europa per trarre ispirazione per Biancaneve, Disney rimase stregato dall’opera di Collodi, e decise che Pinocchio sarebbe stato il suo prossimo ambizioso progetto per il grande schermo – oltre a Fantasia, che è però qualcosa di completamente differente.

Il resto della storia lo conosciamo tutti: se all’inizio il film stentò a decollare al botteghino, causa anche la guerra che preoccupava il mondo, Pinocchio è diventato col tempo un cult, uno tra i più famosi film d’animazione di tutti i tempi, simbolo di quella Disney che sperimentava e faceva sognare bambini e persone di tutte le età in ogni angolo del globo. Poteva quindi forse sfuggire alla moda dei remake in live action, nonostante esistano decine di adattamenti del romanzo di Collodi tra cui il Pinocchio di Guillermo del Toro che uscirà su Netflix entro la fine dell’anno? No, assolutamente no.

Tocca stavolta al leggendario Robert Zemeckis, leggendario regista di Ritorno al Futuro e Chi ha incastrato Roger Rabbit? a mettersi dietro la macchina da presa per raccontare la propria visione dell’indimenticabile classico Disney, curandone inoltre la sceneggiatura insieme a Chris Weitz (La bussola d’oro, Rogue One: A Star Wars Story). L’operazione, come detto in apertura, è similare a quella di molti altri live action Disney: prendere il lungometraggio animato originale, rielaborarlo anche solo parzialmente, e costruire un nuovo prodotto che ricalchi il passato. Sin da queste premesse, è chiaro che torni ancora una volta di moda l’annoso dibattito sull’efficacia di questi film, che certo nascondono l’amore di chi li sta realizzando ma incapace spesso di emergere come dovrebbe.

A differenza del Pinocchio di Matteo Garrone del 2019, che si presenta come la più fedele trasposizione cinematografica del romanzo di Collodi senza tutti i cambiamenti adottati da Disney negli anni ’30 per edulcorare i toni e permettere una fruizione del lungometraggio anche ai bambini più piccoli, quello di Zemeckis non ha dovuto attingere direttamente dal materiale originale ma, appunto, dal già ben noto film di Disney. Al netto di qualche aggiunta come il personaggio di Fabiana (Kyanne Lamaya) e il gabbiano Sofia (Lorraine Bracco), così come lievi aggiustamenti alla storia che non cambiano però la sostanza, Pinocchio si propone esattamente come un tempo, seguendo pedissequamente un copione già scritto e già visto. Ci sono il simpatico gatto Figaro (completamente in CGI e purtroppo ben riconoscibile), la pesciolina Cleo, il Grillo Parlante, il Gatto e la Volpe, insomma tutti quanti. Coloro che trovavamo nel lungometraggio originel del ’40 tornano in questa riproposizione.

Zemeckis e Weitz si sono preoccupati di dare maggior profondità ad alcuni personaggi, come ad esempio il buon Geppetto di Tom Hanks, che si riunisce al regista dopo Cast Away, Forrest Gump e Polar Express; lo stesso percorso di crescita di Pinocchio viene leggermente visto da altre inquadrature, passando per i soliti furfanti Gatto e Volpe ma incontrando anche l’inedita Fabiana, marionettista alle dipendenze del malvagio e troppo sopra le righe, ben più dell’originale del classico animato, Mangiafuoco (Giuseppe Battiston), che aiuterà in alcune occasioni il giovane burattino a comprendere la vita sostituendosi, perché no, alla comunque centrale figura del Grillo (Joseph Gordon-Lewitt). Chiaramente una scelta di questo tipo, ossia di introdurre un nuovo personaggio femminile in una storia che altrimenti non ne possiede al di là della Fata Turchina (Cynthia Erivo), farà nascere i soliti, classici e pesantissimi dibattiti, che come abbiamo visto in questi mesi si accentuano proprio con la brava Erivo che fa del suo meglio per portare in scena la fata che dona la vita a Pinocchio. Polemiche del tutto sterili, per quanto ci riguarda. Anche la Fata Turchina di Disney nel 1940, volendo fare il pelo all’uovo, non rispecchiava la “vera” Fata Turchina di Collodi, il cui nome derivava proprio dai capelli color turchino. Se i veri problemi del film fossero questi, Pinocchio sarebbe quasi perfetto. E invece no.

Al netto di una maggior adesione al romanzo in alcune scelte, come la balena che in realtà non è una balena (nel romanzo originale Geppetto veniva infatti inghiottito da un gigantesco pescecane), il discorso che possiamo fare di Pinocchio ricalca quelli già enunciati per moltissimi altri live action Disney. Il film è capace di trasmettere emozioni, ha un bellissimo messaggio di fondo, ha personaggi ricchi anche nella loro ingenuità. Tutte cose che però già trovavamo nel film Disney originale, alle quali si aggiunge anche una certa oscurità in certe sequenze. Il tocco di Zemeckis, regista visionario che ama concentrarsi su coloro che stanno dando forma alla storia, si nota, così come il suo amore per il burattino che dà il titolo al film. Si tratta però di sensazioni che, per coloro che hanno già visto lo storico classico animato, possono al massimo scaturire dalla solita nostalgia. Pinocchio forse si rivelerà un film molto piacevole per i più giovani, che magari non amano l’animazione tradizionale quanto noi “vecchietti” (in più nel film originale Pinocchio fumava, e sia mai che oggi un genitore faccia vedere un burattino di legno che fuma!), visto dal punto di vista di un regista che è rimasto fedele e si è preso le giuste licenze per esplorare il racconto. Ma niente di più.

Pinocchio, anche in questa riproposizione, resta un classico intramontabile, una favola senza tempo. Un racconto dolce, capace di toccare le corde giuste nel cuore dello spettatore, condito inoltre da una piacevolissima cura estetica tra ambienti e costumi che sembrano direttamente usciti dal film del 1940. Dimenticabile, però, perché questo racconto già esisteva. Un altro buon esercizio di remake in salsa live action, ma niente che faccia gridare a qualcosa di più.

Scritto da
Andrea "Geo" Peroni

Entra a contatto con uno strano oggetto chiamato "videogioco" alla tenera età di 5 anni, e da lì in poi la sua mente sarà focalizzata per sempre sul mondo videoludico. Fan sfegatato della serie Kingdom Hearts e della Marvel Comics, che mi divertono fin da bambino. Cacciatore di Trofei DOP.

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