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Alone in the Dark | Recensione

Correva il lontano 1992 quando Frédérick Raynal decise di ideare uno dei prodotti che avrebbe rappresentato l’inizio di una vera e propria saga survival horror. Pubblicata dalla ben nota Infogrames, la prima interazione di Alone in the Dark seppe conquistare il cuore e la mente di moltissimi appassionati, soprattutto grazie all’affascinante ambientazione ed alle tematiche oscure che affondavano le proprie radici nel fertile terreno preparato da un certo H.P.Lovecraft.

Questa mossa si è rivelata da subito vincente, in quanto il brand ha avuto la capacità di avviare una vera e propria rivoluzione per il settore dell’intrattenimento digitale. Oltre ad essere uno dei primi giochi a presentare ambienti completamente 3D con animazioni realistiche (ovviamente per l’epoca), ha contribuito in maniera sostanziale a gettare le basi per innumerevoli produzioni del medesimo genere. Si devono infatti ad Alone in the Dark caratteristiche come la telecamera fissa e la progressione basata sulla risoluzione di puzzle ambientali.

Dopo un iniziale periodo di apprezzamento, il franchise ha collezionato con i successivi titoli diverse esperienze altalenanti nell’accoglienza, che lo hanno portato a rimanere in sordina fino al 2022. Ad agosto di quell’anno, THQ Nordic ha infatti presentato al mondo il reboot della saga che, dopo diversi rinvii (soprattutto a causa della grande concorrenza autunnale), vede ora la sua pubblicazione. Sarà riuscita questa operazione a riportare ai vecchi fasti l’IP horror? Scopriamolo insieme.

Versione provata: PlayStation 5

Due per uno

In maniera paritetica con quanto visto nel 1992, la storia coinvolge il duo investigativo composto da Edward Carnby (interpretato da David Harbour di Stranger Things) ed Emily Hartwood (rappresentata da Jodie Comer di Killing Eve). La coppia è chiamata a svelare il segreto che circonda Villa Derceto e la scomparsa di Jeremy Hartwood, lo zio della donna. La magione è infatti una sorta di clinica psichiatrica per facoltosi gestita dal misterioso Dottor Gray e dai vari inservienti, in cui accadono però diversi eventi strani, per usare un eufemismo. Da melmose orripilanti creature per poi passare a portali verso scenari infernali, i protagonisti dovranno fronteggiare tutte le loro paure per riuscire nell’intento di salvare l’uomo, così come la propria sanità mentale in un vortice di episodi sempre più paradossali e sconcertanti.

Per quanto la trama non ricalchi perfettamente l’opera originale, questa riesce a coinvolgere in maniera sufficientemente buona, portando ad addentrarsi sempre di più nelle stanze dell’affascinante luogo, così da capire meglio le vari vicissitudini. Per avere il quadro completo sarà naturalmente necessario, alla pari di quanto visto negli anni novanta, affrontare l’avventura con entrambi i protagonisti. Questi, pur non avendo strade completamente inedite l’uno dall’altra, consentiranno di apprendere le diverse sfaccettature narrative che permetteranno, al termine delle due run, di avere un quadro abbastanza nitido (nonostante la storia sia abbastanza intricata ed affronti varie tematiche tra psicologia, medicina e ritualità).

Una peculiare aggiunta degli sviluppatori è invece da riscontrare nei collezionabili. Questi vanno infatti a costituire dei veri e propri set che, una volta completati, garantiscono al giocatore lo sblocco di informazioni aggiuntive od altri extra, come ad esempio un’arma oppure un’altra ricompensa ben più interessante, di cui non vogliamo parlarvi.

Uno sparo nell’oscurità

Visti gli oltre trent’anni trascorsi dall’omonimo titolo, Pieces Interactive ha dovuto ovviamente affrontare un’intensa operazione di ammodernamento, non solo dal punto di vista tecnico, ma soprattutto per quanto concerne il gameplay. Alone in the Dark affonda quindi le proprie radici nel fertile terreno creato da altre colonne del genere, da cui attinge l’ormai famosa mappa “interattiva” capace di colorarsi a seconda del tasso di completamento di una stanza, fino ad arrivare alla classica visuale dietro la spalla, grazie alla quale è possibile abbattere con più soddisfazione i vari avversari.

I combattimenti rivestono un ruolo importante nell’esperienza creata dal team svedese, che ha deciso di focalizzare parte dell’attenzione sul feedback delle varie armi. Gli scontri con i nemici sono apprezzabili ma ben distanti dall’eccellenza, a maggior ragione negli spazi stretti, in cui la schivata presente risulta pressoché inutile e la telecamera rende ancora più complessa la mira. Le varie entità che tentano di ostacolare Edward ed Emily, pur avendo infatti una discreta varietà (anche se sempre avvolte da una sorta di fanghiglia oscura), tendono ad attaccare quasi unicamente con delle cariche ad ariete, facilmente eludibili con un rapido spostamento laterale.

Oltre a questo è da segnalare che per un titolo survival horror, i danni inferti dai personaggi sono forse eccessivi. In due tre colpi si riesce molto spesso a debellare una minaccia a difficoltà media, e questo obbliga i veterani a partire dal tasso di sfida più alto, anche se non si denotano grandi differenze in termini offensivi, ma unicamente nella letalità dei nemici. Il gunplay è quindi sufficiente ma di certo non memorabile, soprattutto se paragonato ad altri esponenti del genere. Per quanto concerne le risorse, queste sono presenti in maniera più che sufficiente nelle varie ambientazioni, spingendo ad un approccio che non contempli troppo l’economia delle munizioni e dei drink curativi, in particolar modo a livello facile e normale.

Comporre i pezzi dell’ambientazione

In piena sintonia con il passato, l’esplorazione di Villa Derceto include diversi enigmi ambientali da dover risolvere per poter correttamente progredire nell’avventura. Questi rappresentano senza troppi dubbi il piatto forte dell’esperienza di Pieces Interactive, vista e considerata anche l’accattivante ambientazione all’interno di cui si trovano. La loro grande presenza spinge il giocatore all’osservazione non solo di ciò che lo circonda, ma anche dei vari documenti che mano a mano si recupereranno nella magione. Che siano, letteralmente, puzzle da comporre o lucchetti da sbloccare, i rompicapo disseminati lungo il percorso dei due protagonisti riescono nell’intento di appagare e di stimolare il pensiero fuori dagli schemi, evitando il sempre monotono pattern delle leve da tirare o degli interruttori da premere.

Come dicevamo poco sopra, la qualità degli enigmi è coadiuvata anche dai vari scenari che gli sviluppatori hanno così ben realizzato. Senza voler fare troppi spoiler, è giusto evidenziare come la villa, per quanto sia la vera location del titolo, lascia spesso spazio ad altre ambientazioni che a loro volta mettono in scena delle situazioni da risolvere. I luoghi creati dalla squadra svedese sono coerenti ed in grado di trasmettere la loro vera essenza grazie anche ad un comparto di illuminazione valido e consolidato (vista la presenza dell’Unreal Engine 4).

Arte e tecnica oscure

In un titolo survival horror la resa estetica fa indubbiamente la parte del leone nella trasmissione delle emozioni. In Alone in the Dark la componente grafica risulta tuttavia un po’ a corrente alternata. I protagonisti fanno sicuramente un ottimo lavoro di interpretazione, così come le animazioni facciali e tutto ciò che ruota sui due attori, ma altrettanto non si può dire degli altri personaggi presenti, che non godono della stessa attenzione e pulizia riservate alla coppia. In alcuni frangenti infatti, la produzione si presenta all’occhio patinata e poco definita, mostrando talvolta i limiti ormai raggiunti del motore di gioco, a maggior ragione sulla rappresentazione di fuoco ed acqua (ma mantiene invece alti standard per l’illuminazione, come detto poc’anzi).

Buono invece il segmento audio che, grazie alla colonna sonora di stampo jazz, trasporta immediatamente nel contesto investigativo noir ricercato dagli sviluppatori. In maniera altrettanto accurata vi sono anche gli effetti sonori, capaci di mantenere sempre l’attenzione alta, laddove necessario. Da segnalare qualche piccolo neo sull’equalizzazione dei suoni, che tuttavia dovrebbe essere risolto con l’ormai immancabile patch del day one.

Tecnicamente parlando, il prodotto di Pieces Interactive presenta le canoniche due impostazioni atte a focalizzarsi maggiormente su qualità o framerate. Quest’ultimo si presenta abbastanza stabile nella configurazione che lo vede in primo piano, garantendo quasi sempre i 60 frame al secondo. Nella nostra prova siamo incappati in qualche piccolo bug che bloccava l’avanzamento del personaggio, ma come detto sopra, nulla che non può essere risolto con un aggiornamento (già annunciato).

Ultimo ma non meno importante argomento riguarda la longevità, che si attesta sulle 6-8 ore per run. Va comunque precisato che, nonostante alcune sezioni siano esclusive di uno dei due personaggi, la maggior parte delle vicende saranno le medesime, riducendo quindi il monte ore accumulabile nella seconda interazione.

7.5
Commento finale
Riassunto

Alone in the Dark torna sulle scene dopo svariati anni (e rinvii) con un prodotto godibile ma lontano dalle altre operazioni di "restyling" a cui gli ultimi anni ci hanno abituato. Nonostante una pregevole ambientazione ed un ottimo comparto puzzle, la nuova fatica di Pieces Interactive si incaglia su un gunplay non memorabile e su una resa grafica altalenante. Un buon punto di ripartenza tuttavia, che speriamo possa risollevarsi ulteriormente nel prossimo futuro.

Pro
Ambientazioni evocative e ben realizzate I due attori protagonisti funzionano molto bene Puzzle diversificati ed appaganti...
Contro
...a differenza del gunplay L'Unreal Engine 4 inizia a sentire gli anni Negli spazi stretti il combattimento è difficile da condurre
  • Concept & Trama8
  • Gameplay7.5
  • Comparto Artistico7.5
  • Comparto Tecnico7
Scritto da
Lorenzo Bologna

Appassionato di tutto ciò che concerne il mondo videoludico, sono un inguaribile amante dei titoli horror e un accumulatore compulsivo di trofei (meglio se di platino). Avvicinato al medium grazie a mamma Nintendo e papà Crash Bandicoot.

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