Nintendo ha vinto una causa intentata ben 15 anni fa contro BigBen Interactive, ora nota come Nacon, per una violazione del brevetto del controller Wii.
Come riportato da The Games Fray, il colosso giapponese ha avuto successo, ottenendo un pagamento di quasi 7 milioni di euro, pari a circa 8,2 milioni di dollari.
La sentenza sul caso, raggiunta a ottobre e riguardante i Wiimote di terze parti di BigBen, ha richiesto tempi notevolmente lunghi, soprattutto considerando che il tribunale aveva originariamente dichiarato BigBen colpevole di violazione di brevetto nel 2011. La sentenza conferisce a Nacon il diritto di presentare ricorso, cosa che l’azienda sta attualmente facendo, avendo “ritardato il procedimento più volte, ad esempio respingendo l’esperto nominato dal tribunale”, secondo il comunicato stampa diffuso dal team legale tedesco di Nintendo.
Lo stesso comunicato stampa sottolinea come il caso sia insolito in quanto i calcoli dei danni effettuati da Nintendo sono stati effettuati sulla base di una “teoria dei profitti persi”:
Particolarmente significativo: il tribunale ha dato per scontato che Nintendo avrebbe realizzato il 100% delle vendite effettuate da BigBen, senza alcuna detrazione in considerazione dei fornitori terzi attivi sul mercato. BigBen aveva sostenuto che gli acquirenti, se non avessero acquistato i prodotti BigBen, avrebbero optato per altri controller di terze parti disponibili. Tuttavia, il tribunale ha ritenuto che anche questi prodotti di terze parti avessero un’elevata probabilità di violare il brevetto in questione. Citando la giurisprudenza della Corte Federale di Giustizia tedesca, ha affermato che ipotetiche circostanze attenuanti che avrebbero costituito attività di terze parti che comportano anche il risarcimento dei danni non potevano essere prese in considerazione a favore del contraffattore.
Inoltre, essendo in corso da così tanto tempo, i danni effettivi calcolati da Nintendo sono aumentati di 3 milioni di euro a causa di tassi di interesse superiori del 5% rispetto a quelli delle banche centrali. “Queste tattiche dilatorie si sono rivelate costose”, affermano gli avvocati dell’azienda nipponica.
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