Home Cinema Andor ha rilanciato la politica in Star Wars mettendo sotto i riflettori i regimi totalitari?

Andor ha rilanciato la politica in Star Wars mettendo sotto i riflettori i regimi totalitari?

Ci sono storie che arrivano in punta di piedi, mascherate da semplici appendici a universi che pensavamo di conoscere fin troppo bene. Poi, all’improvviso, esplodono. Andor è una di quelle sorprese. Nata come l’ennesimo spin-off di Star Wars, apparentemente innocuo e destinato solo ad ampliare il già vasto immaginario della saga, si è invece rivelata una opera matura, tagliente e radicalmente umana. Non una fiaba spaziale, ma un dramma politico nel senso più profondo del termine.

Ambientata negli anni che precedono Rogue One, la serie racconta i fatti che porteranno alla nascita dell’Alleanza Ribelle. Ma non si limita a questo. È anche, e soprattutto, una indagine lucida sui meccanismi attraverso cui un regime totalitario conquista il potere, lo legittima e lo normalizza.

Dimenticate Jedi, Sith e duelli con le spade laser. Andor si muove invece tra spie, prigionieri, burocrati e cittadini qualunque. L’Impero raccontato non è una caricatura del male: è un regime spaventosamente plausibile, fatto di uffici, gerarchie, regolamenti, occhi che osservano e superiori da compiacere. È un meccanismo opprimente e ben oliato, dove ogni ingranaggio è al suo posto. E ogni persona un ingranaggio.

Tanto che, se non fosse distribuita da Disney+ con il logo Star Wars in copertina, potrebbe tranquillamente sembrare una serie distopica indipendente, ambientata in un futuro che assomiglia pericolosamente al nostro presente.

L’Impero, in Andor, è seducente prima che brutale. Promette sicurezza, ordine, stabilità. E mentre distribuisce premi ai fedeli e fa brillare le vetrine della sua propaganda, si insinua nella quotidianità, spegnendo lentamente ogni forma di resistenza, ogni voce fuori dal coro. È un sistema razionale e metodico. E proprio per questo, ancora più inquietante. Perché logora, corrompe e infine consuma anche chi gli ha giurato fedeltà.

Emblematica è la figura di Dedra Meero, glaciale ufficiale dell’ISB, per comprendere come un sistema totalitario divori anche i suoi ingranaggi più efficienti. La sua ascesa si fonda su rigore, disciplina e obbedienza assoluta. Ma la sua parabola non è solo la storia di un’ambizione ben incanalata: è una lezione amara su come i regimi premiano la dedizione solo finché è funzionale.

Poi, con la stessa spietata efficienza con cui perseguitano i dissidenti, bruciano i loro servitori più fedeli. In un mondo fondato sulla paura, nessuno è davvero al sicuro. Non è solo fiction: è storia. È il Novecento che ci guarda dallo schermo.

Lo sa bene Tony Gilroy, ideatore della serie Andor, che in una intervista ha affermato:

Il fascismo non annienta solo gli oppressi. Non annienta solo le persone che sta cercando di controllare. Inevitabilmente distrugge le persone che hanno lavorato più duramente per costruirlo.

Lontano dai simboli mitologici della saga, Andor costruisce una tensione nuova, radicata nella paura, nell’impotenza, nella lenta erosione del pensiero critico. È un racconto di un fascismo senza maschere: burocratico, interiorizzato, normalizzato. Un sistema che non ha bisogno di urlare, perché ha già convinto tutti che non ci sono alternative. È un male che non si mostra mai come tale. Ti entra nella testa, ti isola, ti consuma.

Andor non si è limitata a raccontare una storia ambientata in un universo lontano. Ha avuto il coraggio raro di trasformare una opera d’intrattenimento in un atto politico. Una riflessione lucida, profonda e disturbante sul potere, sulla sorveglianza, sul conformismo, sulla resistenza. Sulle conseguenze umane della libertà.

C’è chi, provocatoriamente ma non senza ragioni, ha suggerito che “la sinistra italiana dovrebbe ripartire da Andor”. Perché la serie di Tony Gilroy riesce a fare ciò che molta politica non fa più: parlare del presente con la lingua del conflitto e del dissenso. Mostrare che il male non arriva con l’elmo nero e la marcia imperiale, ma si insinua nella normalità grigia, nella burocrazia che diventa violenza, nell’abitudine a obbedire.

Per molti fan di lunga data, Andor è stato uno shock benefico. Una scossa. Dopo anni in cui Star Wars sembrava anestetizzato dal fan service e da una estetica pulita ma vuota, la serie ha riportato al centro l’idea originaria di George Lucas: un racconto nato per denunciare l’autoritarismo, l’imperialismo, l’omologazione culturale. In questo senso, Andor è forse la declinazione più autentica e coraggiosa dell’universo di Star Wars.

Non solo perché Gilroy ne ha compreso le fondamenta, ma perché ha saputo espanderle, renderle attuali. Ha dimostrato che quell’universo narrativo può ancora essere una lente per leggere il nostro presente: un presente fatto di sorveglianza capillare, propaganda sottile, assuefazione al controllo.

In una epoca in cui gran parte dell’intrattenimento tende a smussare, edulcorare, evitare il conflitto per non turbare, Andor ha scelto consapevolmente di turbare. Ha messo lo spettatore di fronte al prezzo della libertà, al compromesso, alla paura, alla solitudine. Non ci ha dato eroi scintillanti, ma personaggi spezzati, realistici, profondamente umani.

E proprio per questo, resterà. Perché ha avuto il coraggio di disturbare. E, in tempi come questi, disturbare è un atto di resistenza.

Scritto da
Manuel Salvetti

Storico e docente in discipline umanistiche, coltivo sin dall'infanzia una profonda passione per i videogiochi e il volontariato. Mi affascinano titoli di ogni genere, in particolare quelli a tema storico e sportivo. Inoltre, sono un grande appassionato di Star Wars e dedico molto tempo alla ricerca di nuove informazioni, curiosità e approfondimenti per comprendere le vie della Forza

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