Killing Floor 3, il nuovo capitolo dell’iconico sparatutto cooperativo di Tripwire Interactive, arriva con la promessa di perfezionare la formula tanto amata dai fan: ondate su ondate di mostri da abbattere in gruppo, armi da sbloccare, classi da potenziare e un ritmo di gioco adrenalinico. Come ben sappiamo, la produzione non è stata affatto semplice. La casa di sviluppo americana ha infatti deciso di rinviare il titolo di qualche settimana, in modo da sistemare alcune criticità segnalate dai giocatori durante la fase di closed beta.
Ebbene, dopo diversi giorni passati a demolire orde di Zed con amici e sconosciuti, siamo pronti a dire la nostra su questo atteso, quanto controverso, sequel. Sarà riuscita l’impresa dello studio di Roswell? Scopriamolo insieme nella nostra recensione!
Versione provata: PlayStation 5 Pro
Niente storia, solo azione
Chi si aspetta una trama coinvolgente o profonda ha decisamente bisogno di rivedere le proprie aspettative. Il cuore dell’esperienza è difatti la modalità Survival, peraltro l’unica disponibile al momento. La narrativa, in effetti, è quasi assente: c’è un Codex ben fornito da leggere per chi vuole approfondire, ma non esiste una vera campagna né una modalità con obiettivi più elaborati. Un vero peccato se ci si pensa: il mondo di Killing Floor 3 potrebbe essere davvero interessante, ma il gioco non si impegna a raccontarlo.
Come nei capitoli precedenti, lo scopo del giocatore è quello di affrontare cinque ondate di creature mutanti chiamate Zed, che alla fine portano ad uno scontro con uno dei tre boss attualmente presenti. L’azione è soddisfacente e il sistema di combattimento è stato ottimizzato per risultare più scattante e dinamico: ci si muove più rapidamente, si possono fare scivolate, arrampicate e scatti laterali che rendono ogni scontro visivamente più impattante.
Le armi sono il vero punto di forza del titolo: potenti, versatili, brutali. Ogni colpo esplode tra schizzi di sangue e smembramenti, resi ancora più realistici da un nuovo motore fisico. Anche i nemici rispondono meglio ai colpi, si deformano, esplodono, crollano: morire non è mai stato così spettacolare. Il gunplay è quindi uno dei fiori all’occhiello dell’esperienza portata da Tripwire, capace di essere soddisfacente ed appagante ad ogni colpo esploso.
Le sei classi disponibili (Commando, Firebug, Sharpshooter, Ninja, Engineer e Medic), offrono come da prassi un approccio differente al combattimento, con abilità, strumenti iniziali e granate specifiche. La progressione di queste è stata resa più accessibile rispetto a Killing Floor 2, in quanto si iniziano ad ottenere talenti già dal livello 2, per poi averne di nuovi ogni due livelli, fino al grado massimo, ossia il 30.
Ogni specializzazione può essere personalizzata attraverso scelte che tentano di adattarsi allo stile di gioco dell’utente, ma senza mai trasformarlo completamente. Ad esempio, il Ninja può essere configurato per curarsi con le parate e infliggere danni extra con attacchi pesanti, mentre il Sharpshooter può potenziare i danni restando fermo e congelare i nemici con le sue granate criogeniche. Tutto funziona bene, ma non ci sono stravolgimenti rispetto al passato. Tutto risulta di conseguenza più snello e diretto, molto probabilmente con lo scopo di attirare nuovi segmenti di pubblico.
Gli Zed bastano?
Nonostante le classi siano divertenti da usare e differenziate, il sistema di armi presenta alcune criticità. Esiste sia una progressione permanente che una temporanea (quindi valida unicamente per la partita in corso). Tuttavia, le bocche da fuoco iniziali, se potenziate con i materiali giusti, risultano spesso superiori a quelle di rarità maggiore, rendendo inutile puntare a quelle più costose disponibili nel corso delle partite. Ne risulta un sistema sbilanciato che vanifica il senso di crescita durante la sessione, elemento centrale in un gioco basato su ondate. In pratica, è possibile ignorare completamente le armi più “preziose”, a favore di quelle basilari migliorate. Questo sbilanciamento mina profondamente la progressione a medio termine, rendendo meno gratificante l’ottenimento di nuovi strumenti offensivi.
Nonostante quanto appena espresso, il vero (e forse unico) neo della produzione è però da ricercare nel contenuto. Killing Floor 3 offre infatti troppo poco: 8 livelli, 6 classi, 30 armi, 13 nemici e 3 boss. Le mappe sono ben progettate, ma troppo simili tra loro nella sostanza. Alcune presentano elementi tattici interessanti, come zipline o torrette automatiche, ma nessuna rivoluziona davvero l’approccio alla partita. L’atmosfera è buona, con ambientazioni come Radar Station che riescono a evocare un certo fascino, ma la varietà finisce lì. Anche i nemici, sebbene più dettagliati e letali che mai, non bastano a sostenere l’intera esperienza a lungo. Alcune creature iconiche tornano con nuovi dettagli, ma l’effetto novità svanisce rapidamente.
Probabilmente conscia di questo, Tripwire ha introdotto alcune varianti, come le difficoltà avanzate o le Mutazioni Settimanali, che modificano le regole dei match per offrire sfide più dure. Queste estendono un po’ la longevità, ma non bastano a compensare la mancanza di attività alternative.
Rifugio artistico
Una nota positiva è il rifugio, ossia l’hub centrale tra una partita e l’altra. All’interno è possibile provare le armi, modificare le classi, gestire l’equipaggiamento, accedere alla mappa delle missioni e persino godersi un tutorial. È un’area ben realizzata, che contribuisce a creare un senso di continuità e appartenenza, anche se ancora una volta si avverte la mancanza di contenuti extra. Il luogo è utilizzato anche per ospitare gli elementi live-service come il Battle Pass e il negozio cosmetico. La personalizzazione è minima: solo caschi e armature, e proprio per questo le microtransazioni sono poco invasive (al momento).
Visivamente, il gioco fa un salto in avanti rispetto al passato, ma non aspettatevi un miracolo. La grafica è pulita, gli effetti di sangue e distruzione ambientale sono di alto livello, e il design dei nemici è più realistico. Tuttavia, anche qui, manca un pizzico di audacia: tutto funziona, ma nulla sorprende.
Volendo quindi fare una chiosa finale, è come se Killing Floor 3 fosse stato progettato per essere “sicuro”: divertente, accessibile, ben confezionato, ma senza prendere rischi. E questo lo rende più simile a una base solida su cui costruire, piuttosto che a un prodotto finito e pronto a brillare.

Riassunto
Riassunto
Killing Floor 3 è uno sparatutto cooperativo fluido e immediato, ma troppo essenziale per convincere pienamente. Allo stato attuale, la produzione manca di contenuti, varietà e profondità. La modalità Survival è divertente e ben rifinita, ma è anche l’unica cosa che il gioco offre, e dopo poche ore si inizia a percepire la ripetitività. La sensazione generale è quella di un progetto ancora in divenire.
Pro
Gunplay convincente Gameplay facile da apprendere ed appagante...Contro
Pochi contenuti ...ma dopo qualche ora troppo ripetitivo La narrativa poteva essere approfondita di più- Valutazione7
Scrivi un commento