C’erano una volta le guerre digitali. Scenari devastati, proiettili traccianti, il rombo dei carri armati che si fondeva con il fischio dei razzi, e l’eco lontano di un cecchino appostato tra le macerie. Battlefield non era solo un videogioco: era una mostra bellica, un campo di battaglia vivo, pulsante, orchestrato con maestria. Una leggenda iniziata nei primi anni 2000 e culminata nel 2011 con Battlefield 3, capitolo considerato da molti l’apice assoluto della serie, il perfetto equilibrio tra tecnica, strategia, e caos controllato, con Battlefield 4 che ampliò poi i già ottimi concetti espressi.
Poi, come è accaduto a molte altre potenze del mondo videoludico, è arrivata la decadenza. L’oblio, in alcuni casi. E ora, con Battlefield 6, EA è in cerca di una redenzione che non può mancare.
Anni turbolenti
L’epoca d’oro di Battlefield combacia con quella classica di Call of Duty. Da una parte, la trilogia di Modern Warfare e la saga di Black Ops frantumavano annualmente i record, proponendosi come gli shooter arcade più in voga del momento; dall’altra parte, EA costruiva il suo Battlefield con tempi più ragionati e altri intenti. Battlefield 3 fu il titolo della vera svolta commerciale, dopo che già Bad Company 2 aveva saputo dare un grandissimo slancio al franchise in termini di qualità. Ma da quel momento, i guai non sono più mancati.
Il crepuscolo della saga non è stato immediato. Battlefield 4 seppe ancora brillare, nonostante un lancio zoppicante fatto di tanti problemi tecnici, grazie a un supporto post-lancio esemplare. Battlefield 1, ambientato nella Prima Guerra Mondiale, colpì invece per l’audacia estetica e l’intensità narrativa. Ma fu con Battlefield V e, soprattutto, con Battlefield 2042 che la serie perse definitivamente l’equilibrio.
Se già Battlefield V aveva raccolto critiche ovunque, con BF 2042 la saga assiste a un guaio senza precedenti. Il gioco di DICE avrebbe dovuto essere il nuovo inizio: guerra moderna, mappe immense, distruzione ambientale su scala epica, veicoli futuristici, ma soprattutto un primo tassello di un enorme universo condiviso che si sarebbe arricchito nel tempo di tantissimi contenuti e forse anche altri giochi. Ma il lancio, lo ricordiamo tutti, fu disastroso. Mancanza di scoreboard, bug, assenza di una vera campagna, bilanciamento rotto, modalità specialistiche confusionarie, scelte di design assurde: l’identità della saga si frantumò come un grattacielo colpito da un Javelin. Il gioco non piaceva. Il pubblico era deluso. E intanto, Activision se la rideva.
Call of Duty, l’eterno rivale che vacilla
A complicare le cose, c’è sempre stato l’eterno rivale: Call of Duty. Per anni, i due franchise si sono divisi il mercato dello sparatutto in prima persona, offrendo visioni complementari: Call of Duty puntava sulla rapidità, l’azione cinematografica, l’immediatezza. Battlefield, invece, offriva guerra totale, tattica, immersione.
Anche Call of Duty ha perso slancio, in varie occasioni. La piega (o piaga) futuristica ha allontanato molti giocatori nel periodo 2014-2017, ma anche i tempi moderni, dopo l’esplosione di Warzone, non sono stati semplici per il franchise. Le critiche ai contenuti riciclati, la fatica dei fan verso la formula dei live service, l’eccesso di microtransazioni e le campagne dimenticabili hanno indebolito il colosso Activision. Il pubblico è ancora numeroso (basti pensare che quella ciofeca di Vanguard ha venduto 30 milioni di copie, tanto per intenderci), ma meno entusiasta. La percezione della qualità è cambiata. Al tempo stesso, COD continua a fare il bello e il cattivo tempo, anche per colpa della concorrenza inesistente da ormai 10 anni di Battlefield.
Ma quest’anno, in questo clima di stanchezza e delusione che potrebbe proseguire anche con Black Ops 7, Battlefield 6 ha un’occasione irripetibile: riconquistare il campo di battaglia. Non solo per sopravvivere, ma per ricordare a tutti cosa significhi davvero combattere.
Battlefield 6 promette grande guerra
Previsto per il 10 ottobre 2025, Battlefield 6 sarà una dichiarazione di intenti. Un tentativo di redenzione, un messaggio chiaro ai fan della prima ora: “abbiamo capito gli errori”. E per farlo, Electronic Arts e DICE guardano là dove tutto ha funzionato: Battlefield 3.
Il nuovo capitolo sarà ambientato in un futuro prossimo, ma verosimile. Un mondo dove le superpotenze sono tornate a scontrarsi, in conflitti localizzati ma globali nelle conseguenze. Le mappe saranno più dense, meno dispersive rispetto a 2042 e maggiormente in linea con quelle che hanno sempre ammirato nei capitoli più spettacolari. I veicoli torneranno a essere centrali, ma con maggiore bilanciamento. La distruttibilità ambientale – vera firma della saga – sarà potenziata, ma senza diventare puro caos.
Soprattutto, tornerà il sistema delle classi con ruoli ben definiti, abbandonando l’esperimento confuso degli specialisti. I soldati saranno nuovamente soldati, non eroi da copertina. Sarà introdotta una nuova IA dinamica in grado di reagire agli eventi sul campo, e tutto darà l’idea di essere mondo vivo, dove la guerra non finisce mai davvero. Ed è guerra, soprattutto, non l’ultimo episodio di American Dad.
Battlefield 6 ha sulle spalle un peso enorme. Non è solo il prossimo capitolo di una serie: è l’ultima occasione per riconquistare fiducia, per dimostrare che l’anima di Battlefield non è stata corrotta dal desiderio di monetizzazione o dal timore del confronto. È il momento per EA di dimostrare un briciolo di contegno e di passione, ma soprattutto di dimostrare con i fatti, sul campo, che la saga è ancora capace di incendiare gli schermi e i cuori.
E Call of Duty? Tornerà anch’esso in guerra, inevitabilmente. Ma forse, per la prima volta dopo anni, il terreno sarà pari. E a quel punto, finalmente, anche Activision dovrà farsi qualche domanda.
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