A quasi vent’anni dall’uscita di Bully, uno dei titoli più originali e discussi del catalogo Rockstar Games, arriva finalmente una spiegazione ufficiale sul motivo per cui il tanto atteso sequel non ha mai visto la luce. A svelarlo è Dan Houser, co-fondatore ed ex responsabile creativo dello studio, durante un’intervista con Ryan McCaffrey di IGN tenutasi al L.A. Comic Con.
Pubblicato nel 2006, Bully si distingueva nettamente dal colosso Grand Theft Auto: nei panni di Jimmy Hopkins, un adolescente ribelle alle prese con la vita scolastica in un collegio inglese, i giocatori affrontavano temi come il bullismo e le dinamiche sociali adolescenziali. All’epoca, il gioco ottenne ampi consensi di critica e pubblico, accompagnati da diverse polemiche, e divenne rapidamente uno dei titoli più iconici degli anni 2000. Eppure, nonostante la popolarità e le continue richieste dei fan, un seguito non è mai arrivato.
Secondo Houser, la ragione principale è stata una questione di risorse. «Credo sia stato semplicemente un problema di capacità produttiva», ha spiegato. «Se hai un team creativo ristretto e un piccolo gruppo dirigente, non puoi portare avanti tutti i progetti che vorresti.»
Houser, che ha lasciato Rockstar nel 2020 dopo averla fondata insieme al fratello Sam, ha poi dato vita ad Absurd Ventures, società multimediale attualmente impegnata nello sviluppo di nuove produzioni tra videogiochi e animazione. Nel frattempo, lo studio da lui lasciato è concentrato su uno dei titoli più attesi di sempre: Grand Theft Auto VI, previsto per il 26 maggio 2026.
Quanto a Bully, il ritorno di Jimmy e dei suoi compagni sembra ancora lontano. Tuttavia, con il ventesimo anniversario all’orizzonte nel 2026, non è escluso che Rockstar possa rispolverare il progetto con un remake o una remaster. Per ora, però, ai fan non resta che attendere.
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