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DOOM: The Dark Ages | Recensione

Il palcoscenico videoludico moderno è sorretto e composto da diversi pilastri che, nel corso del tempo, ne hanno definito non solo l’evoluzione, ma anche l’essenza. Non sono infatti molti i franchise che sono stati capaci di plasmare il mondo dell’intrattenimento al punto tale da divenire delle icone, apprezzate da milioni e milioni di utenti.

Una di queste è senza troppi dubbi DOOM. L’IP creata da id Software e pubblicata da Bethesda è riuscita nel 1993 a creare un vero e proprio universo, divenendo negli anni una delle proprietà intellettuali più influenti mai realizzate. Non stupisce quindi che, ad ogni nuovo capitolo annunciato, l’enorme platea di appassionati riversi nella software house texana un fiume di entusiasmo e gioia, nella speranza che l’interazione continui ad alzare come sempre l’asticella qualitativa.

Dallo Showcase Xbox dello scorso anno, DOOM: The Dark Ages ha dovuto di conseguenza raccogliere una sfida non indifferente, ossia quella di innovare ancora una volta la tanto nota alchimia tra distruzione e potenza di cui la serie ha dato prova in oltre tre decadi di titoli.

Sarà riuscita l’ennesima impresa dello studio? Scopriamolo insieme!

Versione provata: PlayStation 5 Pro

Slayer, al vostro servizio

Uno degli aspetti fin da subito enfatizzati da id Software per quanto concerne la nuova esperienza ammazza demoni, è l’attenzione posta nei confronti della trama. L’opera del team americano non si limita a dare un mero espediente al giocatore per falcidiare qualsiasi creatura infernale, ma presenta un canovaccio narrativo fin da subito interessante, vista anche la sua natura di prequel rispetto a DOOM del 2016 e DOOM: Eternal del 2020.

Dopo pochi istanti, The Dark Ages avvia subito il motore, dipingendo una situazione disperata: il regno di Argent D’Nur è infatti assediato da orde demoniache guidate dal Signore Oscuro Ahzrak, desideroso di recuperare un misterioso manufatto in grado di fornirgli poteri inimmaginabili. Le Sentinelle della Notte, nonostante una stregua resistenza, non riescono a contenere l’invasione, la quale sembra ormai destinata a sterminare tutta la compagine umana. In questo contesto drammatico, il Re Novik decide quindi di richiamare una straordinaria arma: un guerriero senza nome, custodito dai Maykr, la cui unica motivazione pare essere l’annientamento delle spaventose orde. Tuttavia, si scopre ben presto che il controllo del soldato appare sempre più difficoltoso, segno che qualcosa sta per cambiare.

Senza voler svelare troppo degli eventi successivi, è sufficiente dire che questo incipit getta le basi per un interessante approfondimento del passato del protagonista, rivelando dettagli sulla sua prigionia e sull’inizio della crociata contro l’Inferno. Il tutto confluisce di conseguenza in una narrazione più cinematografica rispetto ai capitoli precedenti, con numerose cutscenes in terza persona e un cast di personaggi secondari e antagonisti ben caratterizzati, capaci di elevare sensibilmente un aspetto finora abbastanza superficiale del franchise. Nulla di memorabile intendiamoci, ma senza troppi dubbi questa direzione presa motiva a proseguire per conoscere gli sviluppi che di li a poco prenderanno forma.

Sterminio sul campo

Spostandoci maggiormente sul comparto relativo al gameplay, va da sé che la nota formula FPS in prima persona di DOOM si presenta subito famigliare per tutti coloro che conoscono l’IP, anche se id Software non ha mancato di inserire novità stuzzicanti.

La prima è indubbiamente lo scudo, che qui incarna il fido compagno di viaggio dello Slayer. Grazie alle peculiari meccaniche introdotte, questo consente non solo di difendersi, ma anche di sferrare letali scatti in avanti o strabilianti contrattacchi. Nel caso in cui un demone spari infatti un colpo verde oppure esegua una mossa contraddistinta dal medesimo colore, con la giusta pressione del grilletto sinistro è possibile rispedire al mittente il tutto, mutando sensibilmente le sorti della battaglia. Padroneggiare quanto prima l’oggetto diviene quindi fondamentale per sopravvivere all’interno del titolo, pena una prosecuzione più ardua e meno soddisfacente.

La parte del leone è naturalmente ricoperta dalle bocche da fuoco, appositamente studiate per creare distruzione e decimare le fila dell’Inferno. Senza togliere la sorpresa, basti pensare che sono oltre una dozzina le armi recuperabili nella campagna, suddivise in tipologie a seconda del tipo di proiettile sparato. Ognuna di queste gode di un effetto particolare e di un aspetto ricercato che consente di avere un’identificazione immediata, grazie anche alla comoda ruota di selezione richiamabile con la semplice pressione di un tasto. Da scariche al plasma, fino ad arrivare a paletti appuntiti o schegge di ossa, il feedback messo in campo dal team texano è appagante come non mai, e risulta in grado di trasmettere sulle dita la potenza generata dagli strumenti di morte.

Nel raro caso in cui ci si trovasse invece a corto di munizioni (che comunque sono abbondanti e sempre rilasciate dagli avversari) lo Slayer può contare anche su mosse melee, che permettono di eseguire devastanti attacchi corpo a corpo propedeutici anche per ottenere risorse ed energia che, in pieno stile DOOM, sono costituiti da corazza e salute vera e propria.

Pad alla mano, il gioco rispecchia quindi perfettamente quanto esposto dal team di sviluppo in occasione dell’annuncio. The Dark Ages abbandona completamente i balzi e l’agilità vista in Eternal, a favore di un’esperienza ancorata a terra. Ogni passo del silente trucidatore viene percepito in tutta la sua pesantezza, quasi come fosse un blindato bipede. Ne deriva un gameplay incentrato quasi unicamente sulla difesa ma, soprattutto, sull’infliggere pene a chi si palesa sul cammino. In merito a questo ambito, la varietà di creature messe in campo dal gruppo americano è più che soddisfacente, in quanto introduce creature inedite ed altre che hanno segnato la storia del franchise.

Caccia al demone (ma anche al tesoro)

DOOM: The Dark Ages vede la propria campagna comporsi di ben 22 livelli, all’interno dei quali sono contenute ampie (ma fortunatamente mai dispersive) mappe ricche di dettagli e segreti. I puristi che temono una perdita di identità del franchise possono rimanere tutto sommato tranquilli: nonostante la presenza di stage aperti, alcuni rimangono più fedeli al passato, proponendo percorsi più limitati e densi. La nuova interazione di id Software stimola tuttavia molto più l’esplorazione, utile non solo per recuperare di qualche simpatico collezionabile, ma anche per ottenere materiali indispensabili per migliorare l’equipaggiamento dello sterminatore di demoni. Ogni arma dispone di diversi potenziamenti acquistabili, i quali, incrementando sensibilmente danni ed effetti passivi, rappresentano un vero punto di svolta per la progressione, vista l’assenza di abilità incentrate direttamente sul protagonista.

Per aiutare il giocatore nell’intento, gli sviluppatori hanno fortunatamente implementato una comodissima automappa (richiamabile tramite input), capace di rivelare i punti di interesse automaticamente quando ci si trova nelle prossimità dell’oggetto. La feature torna particolarmente utile sia negli stage aperti, ma anche in quelli più lineari, in quanto in grado di dare subito un quadro di insieme di ciò che circonda l’alter ego. In diverse occasioni (soprattutto per gli elementi più preziosi) viene richiesto il completamento di un puzzle abbastanza basilare, spesso risolvibile con un lancio di scudo oppure osservando con attenzione l’ambiente circostante in cerca di un muro da scalare o di un gancio da colpire.

Gli scenari proposti dalla nuova avventura dello Slayer sono variegati come mai visto finora. Tra un livello e l’altro si passa difatti da luoghi chiusi fino ad arrivare ad oscure foreste, senza dimenticare ampi campi di battaglia dove poter sfoggiare il possente Atlas oppure svolazzare con l’altrettanto fenomenale drago. I due mezzi di trasporto, disponibili in determinate sezioni, riescono nel non facile compito di dare una boccata d’aria fresca al gameplay, il quale altrimenti avrebbe potuto stuccare, vista anche la consistente longevità del titolo.

Dispiace solo che, almeno per il momento, non vi sia alcun contenuto extra, multigiocatore compreso. Non avrebbe guastato una modalità orda o qualche attività secondaria arcade appositamente pensata per aumentare ancora di più l’offerta ludica, evitando di dover per forza avviare un capitolo della storia.

Sfogo per tutti

Merita un capitolo a parte dell’analisi l’enorme lavoro fatto da id Software per quanto concerne l’accessibilità. The Dark Ages è senza troppi dubbi uno dei prodotti più personalizzabili presenti nel panorama videoludico attuale, e consente praticamente a chiunque di poterne fruire senza alcun tipo di problema. Sono decine le impostazioni modificabili per aggiustare non solo il tasso di complessità, ma anche la velocità del gioco, i comandi ed i parametri degli attacchi nemici, oltre che quelli relativi al protagonista.

I dubbiosi su un’eccessiva facilità dell’esperienza possono quindi stare tranquilli, il nuovo episodio di DOOM si sposa perfettamente anche con coloro che sono in cerca di una sfida davvero infernale, dove ogni pericolo può essere fatale. Qualora si optasse ad esempio per la difficoltà ultra-incubo, bisognerebbe necessariamente raggiungere i titoli di coda con una sola vita, pena il riavvio totale della campagna.

You can’t kill the Metal

Dall’alba dei tempi, DOOM e musica metal sono concetti che viaggiano di pari passo. The Dark Ages ha mantenuto ovviamente la tradizione, affidando a Finishing Move la composizione della colonna sonora, che anche in questo caso è perfettamente calzante. Le varie tracce si attivano durante le orde più intense, generando ancora più adrenalina e voglia di spazzare via qualsiasi demone presente. Completano il quadro poi effetti audio ben calibrati e soddisfacenti, tranne per il doppiaggio in italiano, che non risulta particolarmente espressivo e convincente.

Promozione a pieni voti anche dal punto di vista tecnico, grazie ad un lavoro di pulizia sopraffino eseguito dai ragazzi di id Software. Le vicende a schermo scorrono infatti senza esitazione a 60 FPS granitici, anche durante le fasi più caotiche. Durante la prova non sono inoltre mai stati riscontrati bug od altri problemi di programmazione, ulteriore segnale che l’attenzione durante la fase di polishing non è mai venuta meno. Un neo da segnalare riguarda invece la qualità di alcune texture del terreno che, in alcune circostanze, hanno presentato una risoluzione nettamente inferiore rispetto al pregevole quadro di insieme del mondo gotico di questo DOOM. Nel complesso comunque, l’idTech 8 riesce ancora a restituire una visione pregevole del panorama, soprattutto per quanto concerne i modelli dei personaggi.

9
Riassunto
Riassunto

id Software ce l'ha fatta anche stavolta. DOOM: The Dark Ages è un titolo divertente ed appagante, che riesce ad abbracciare un'ampia platea di pubblico grazie a molteplici opzioni di accessibilità e ad una maggior attenzione nei contenuti proposti. Non lo nascondiamo: attendiamo con ansia nuove aggiunte per saziare ancora di più la nostra sete di sangue infernale.

Pro
Campagna longeva ed interessante... Comparto tecnico solido Gameplay divertente ed immediato (lo scudo è un'ottima aggiunta)
Contro
...ma oltre a quella non c'è altro (per ora)
  • Valutazione9
Scritto da
Lorenzo Bologna

Appassionato di tutto ciò che concerne il mondo videoludico, sono un inguaribile amante dei titoli horror e un accumulatore compulsivo di trofei (meglio se di platino). Avvicinato al medium grazie a mamma Nintendo e papà Crash Bandicoot.

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