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[Recensione] Kena: Bridge of Spirits

“Gioco indie” significa, il più delle volte, titoli dalle ambizioni contenute e che non riescono, o non possono, strafare con motori grafici ultraperformanti dovendo ricorrere ad altro per equilibrare il prodotto finale. Prendiamo Hades ad esempio, recentemente rilanciato su PlayStation e Xbox. Nonostante il comparto grafico sia semplice, la produzione di Supergiant Games si contraddistingue per una direzione artistica e un gameplay straordinari. Insomma, se non ci sogniamo neanche lontanamente di mettere a confronto Hades e The Last of Us: Parte II sul fronte dell’engine impiegato, nulla vieta di dire che entrambi sono due titoli mastodontici.

Succede però che talvolta anche lo studio indipendente voglia tentare di strafare, ed è il caso di Kena: Bridge of Spirits. I ragazzi di Ember Lab, che fino a poco tempo fa si sono sempre occupati di animazione, hanno tentato l’approccio al mondo dei videogiochi con una produzione che non ha solo attirato l’interesse di PlayStation, tanto da farne una esclusiva console temporale per PS4 e PS5, ma anche del pubblico. Il perché è presto detto, se avete seguito il gioco sin dal suo trionfale annuncio. Ora che il gioco è finalmente nelle nostre mani, però, viene il momento di verificare se Kena: Bridge of Spirits abbia una vera anima sotto un guscio praticamente incredibile.

Spoiler: c’è.

Versione provata: PlayStation 5 (in minima parte anche PS4)

UN FILM DA GIOCARE

Il primo impatto con Kena e il suo mondo è proprio lo stesso che chiunque ha avuto durante il reveal del titolo, avvenuto lo scorso anno al famoso evento di presentazione di PS5: Kena: Bridge of Spirits sembra in tutto e per tutto un film animato in CG, come se ci trovassimo di fronte a un film Pixar ma che stavolta possiamo giocare. Il mondo intorno alla protagonista profuma di un’eccitante avventura, un viaggio nei sogni di una foresta incantata e permeata di magia che è la rappresentazione e il luogo ideale per raccontare la storia di questa giovane e già simpatica protagonista.

Kena è infatti una guida spirituale, ancora un po’ acerba e inesperta ma che sa ciò che deve fare. Gli spiriti che non riescono a trovare pace, infatti, restano all’interno della foresta come presenze maligne, come una sorta di elemento che corrompe il mondo in cui si trovano, ancora una volta a rimarcare che loro, i defunti, non fanno più parte di questi luoghi. Il compito di Kena è quello di riuscire a risolvere i conflitti interiori, ma anche esteriori, di questi poveri spiriti abbandonati a se stessi. La vita che li ha lasciati, talvolta troppo presto, ha impedito loro di portare a termine determinati compiti, di chiudere le questioni in sospeso, e questo a sua volta impedisce loro di procedere oltre.

Potrebbe sembrare prolisso, del resto ciò che abbiamo visto negli ultimi circa 12 mesi su Kena: Bridge of Spirits sembrava comunicare esattamente le stesse sensazioni che abbiamo vissuto sulla nostra pelle in questi giorni. Eppure, tocca ripeterlo: se anche il gameplay di Kena non sia nulla di innovativo ma perfetto per ciò che deve rappresentare, proprio come la storia, è il come questo mondo viene presentato e raccontato che l’opera prima di Ember Lab nel mondo videoludico fa cadere la mascella a terra.

L’arte attorno cui Kena: Bridge of Spirits è costruito è semplicemente indimenticabile. Oltre a un mondo di gioco che richiama luoghi degni dei più noti film animati degli ultimi anni, uno su tutti Rapunzel la cui foresta sembra avere una particolare somiglianza con quella degli spiriti di Kena (non a caso abbiamo immaginato talvolta di ritrovarci in Kingdom Hearts III, gioco che omaggia proprio il classico Disney), la magia degli esperti animatori viene messa in risalto dalle luci, i colori, gli adorabili esserini chiamati Rot che accompagnano e sorreggono Kena nella sua pericolosa missione, costruendo ponti e partecipando attivamente ai combattimenti. Un binomio, quello di Kena e delle creature magiche, che accresce le sue possibilità e la sua importanza in tutto l’arco del gioco, ogni qualvolta che la ragazza riesce a liberare altri Rot che si uniscono alla sua causa.

Pur costruendo un’importante lore intorno al mondo, molti quesiti restano irrisolti, ma non per forza ogni cosa deve essere spiegata. Cosa siano effettivamente i Rot, ad esempio, è una bella domanda ancora oggi, nonostante il gioco sia nelle nostre mani. Ma il piacere della scoperta e della magia lasciano in secondo piano questi misteri, che non occorrono essere spiegati per comprendere a fondo la storia di Kena e l’intera narrazione, che procede tramite filmati splendidamente realizzati in computer grafica e con framerate cinematografico (sembra proprio di vedere il film di Kena: Bridge of Spirits in quei frangenti) prima di arrivare a un finale soddisfacente anche se, forse, un po’ troppo frettoloso. Troppi enigmi irrisolti? Troppa impazienza nel concludere il gioco? Forse ciò che è stato rimarcato dal finale di Bridge of Spirits è che Ember Lab ha un notevole passato nell’animazione, tra cui anche un fan film di The Legend of Zelda: Majora’s Mask che, se siete curiosi, potete recuperare qui, e che quello di Kena è il suo primo videogioco. Ci sarà tempo e modo per migliorare. Bridge of Spirits non è un titolo perfetto, ma per il team è forse il modo perfetto per farsi conoscere in questo mercato.

LIBERARE GLI SPIRITI

Se sul fronte grafico e tecnico Kena sorprende, per quanto riguarda la struttura ludica non si può che ammettere che il gioco presenta i suoi limiti, ma questo non deve essere visto con un’accezione negativa. Ember Lab, evidentemente conscia dei suoi limiti e dell’inesperienza, ha confezionato un action adventure “open world” (le virgolette sono d’obbligo, in quanto comunque esistono sentieri che la protagonista deve percorrere senza sconfinare nell’interezza della foresta) dallo stile semplice ma funzionale. Non si resta sorpresi, vero, ma neppure delusi.

Bridge of Spirits ha un focus principale sull’esplorazione e sulla risoluzione dei suoi enigmi ambientali, sempre ben congeniati e in larga parte caratterizzati da quella che è la minaccia principale del gioco, quelle malefiche piante rosse che hanno invaso la foresta e che sembrano richiamare spiriti malvagi nel mondo e stanno corrompendo intere aree del mondo di Kena. Ed è qui che entra in gioco la componente più action dell’esperienza. Kena, insieme al suo fidato bastone da combattimento che utilizza come strumento durante l’esplorazione e come arma durante i combattimenti, è capace di muoversi e scivolare soavemente di qua e di là, sfuggendo agli attacchi nemici e scegliendo il momento giusto per attaccare o parare un colpo, cosa che può dare un notevole vantaggio poiché soprattutto i boss resteranno interdetti da questa rapidità nel contraccolpo di Kena.

Nella sua qualità di spirito guida che sta compiendo il suo viaggio di formazione, la giovane ragazza ha poi modo di accrescere il suo potere e le sue abilità. Ben presto Kena impara come utilizzare i Rot per eliminare la corrosione e combattere gli spiriti malvagi più forti, e insieme agli altri abitanti di questi particolari luoghi sarà capace di sfruttare altre armi (l’arco ne è un esempio, ma anche le bombe di energia) e il potere della natura stessa, messaggio che il gioco riesce a comunicare in più modi e a più riprese.

Non fatevi inoltre ingannare dall’aspetto volutamente fanciullesco di Kena. Anche a difficoltà non troppo elevate, esistono alcuni scontri, specialmente contro i boss, che risultano un tantino sbilanciati rispetto agli scontri affrontati fino a quel momento, e a quel punto servirà morire più volte per capire come approcciarsi realmente. Del resto, in Kena: Bridge of Spirits non esiste la possibilità di salire di livello e migliorare le proprie statistiche (che non ci sono, quindi c’è poco da fare), e i poteri e le nuove abilità sono legati esclusivamente all’avanzamento nella storia. Una formula che, come dicevamo, nonostante qualche difetto come quello appena discusso o le animazioni che non risultano perfette quanto il resto del comparto tecnico, riesce comunque a funzionare senza eccessiva sbavature, e che allontana il mostro della ripetitività grazie alla sua durata – vi serviranno un massimo di 10-12 ore per completare il gioco, cercando anche tutti i collezionabili.

Al di là delle animazioni, a tal proposito, non possiamo davvero dire nulla di negativo per quanto riguarda lo splendore visivo che è Kena: Bridge of Spirits, capace di comunicare piacevolissime sensazioni ed emozioni tramite le immagini, i suoni e i colori. Molto carina, inoltre, l’implementazione delle caratteristiche del DualSense PS5, come i trigger adattivi che cambiano intensità utilizzando l’arco – cosa che produzioni di ben altra caratura non sono riusciti a fare.

Parlando più nello specifico delle versioni PlayStation, quelle cioè da noi testate, Kena: Bridge of Spirits può essere fruito su PS5 con due modalità: Performance, a 60 frame al secondo e risoluzione 4K upscalata, e Fedeltà, che invece propone i 4K nativi a discapito del frame rate bloccato a 30. Ovviamente, non possiamo che consigliare la modalità Performance per l’ottima fluidità offerta dai 60fps che non calano mai, cosa che sfortunatamente manca alla versione PS4 che viene invece proposta con il solo frame rate a 30fps. Ciononostante, il risultato resta splendido anche sulla console di vecchia generazione di casa Sony.

PUNTI DI FORZA

  • Visivamente stupendo
  • Kena, la sua storia e il suo mondo sono dolci e magici
  • Il gameplay è semplice ma congeniale

PUNTI DEBOLI

  • Qualche difetto nelle animazioni
  • Una maggiore riconoscibilità delle aree non avrebbe fatto male
  • Alcune boss fight sono sbilanciate

Kena: Bridge of Spirits è raffinato, dolce e bellissimo da vedere. Il primo approccio di Ember Lab ai videogiochi è destinato a entrare nella storia, non tanto per la sua struttura ludica, che fa quello che deve fare senza sorprendere o innovare alcunché, quanto invece per come il mondo di gioco viene rappresentato e raccontato. Una produzione indipendente che grazie alla sua magica arte sa toccare le corde giuste, dando forma a quello che potrebbe essere tranquillamente un film Pixar tramutato in videogioco. Un esordio incoraggiante per lo studio, e un’altra piccola perla indie che merita grande visibilità.

Ringraziamo Ember Lab per il codice review di Kena: Bridge of Spirits.

Scritto da
Andrea "Geo" Peroni

Entra a contatto con uno strano oggetto chiamato "videogioco" alla tenera età di 5 anni, e da lì in poi la sua mente sarà focalizzata per sempre sul mondo videoludico. Fan sfegatato della serie Kingdom Hearts e della Marvel Comics, che mi divertono fin da bambino. Cacciatore di Trofei DOP.

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