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[Recensione] Suicide Squad: Kill the Justice League

Ci sono prodotti molto divisivi nel settore dei videogiochi. Palworld ne è un recente esempio, tra chi lo accusa di essere un prodotto senza alcun pregio, reo di aver rubato a destra e a sinistra da altri prodotti, e chi invece lo sta spolpando da giorni. In alcuni casi, però, si parla di interi generi. E stavolta si parla dei live service.

Croce e delizia dei giocatori, i videogiochi basati su servizi promettono sempre grandi cose, ambiscono a durare anni, mirano a plasmare un’esperienza straordinaria per gli utenti fatta di continui aggiornamenti, sorprese, novità frizzanti. Possiamo dire che buona parte di questa corrente sia nata grazie al grandioso Destiny di Bungie, generando poi un fenomeno che si è rapidamente espanso e che oggi vede in Call of Duty, Fortnite e Apex Legends i suoi principali esponenti – le ultime stime non sono casuali: il 95% degli studi di sviluppo lavora in qualche modo a progetti live service, ormai visti come galline dalle uova d’oro.

Il problema nasce quando i live service iniziano a zoppicare, e si acuisce quando in tanti provano a rincorrere un successo che proprio non arriva. Il caso di Suicide Squad: Kill the Justice League è probabilmente emblematico di un’industria che, senza ombra di dubbio, sta sbagliando qualcosa. Non tutto, fortunatamente, ma il gioco di Rocksteady, che segna il ritorno sulle scene dello studio a quasi 9 anni di distanza da Batman: Arkham Knight, è stato da subito recepito molto freddamente dal pubblico, e a dire il vero anche la stampa di settore non ha speso grandi complimenti in fase di anteprima. Giusto o no? Il titolo rischia di partire col piede sbagliato a causa della reputazione del suo genere?

Sarebbe interessante esaminare l’impatto e la ricezione attuale dei live service, ma per quello c’è tempo. Ne discuteremo forse in uno speciale dedicato, un giorno. Per il momento, concentriamoci sul gioco vero e proprio: ecco la nostra recensione di Suicide Squad: Kill the Justice League.

Versione provata: PlayStation 5.

Giustizia compromessa

Se il gioco in questione è delicato, ciò è anche provocato dalla natura stessa della sua storia: l’obiettivo è eliminare la Justice League.

Si tratta di una grande svolta rispetto agli Arkham del passato: stavolta i cattivi diventano i protagonisti, e i supereroi non sono solo semplici bersagli ma i veri e propri villain della squadra e dell’umanità intera. Comprensibilmente, si tratta di un rischio. Batman, Superman e gli altri eroi della Lega della Giustizia sono amati e rispettati, ed è bizzarro che mentre in precedenza si è cercato di cavalcare l’onda dei grandi team di supereroi (Marvel’s Avengers), Rocksteady abbia optato per un approccio totalmente diverso, mettendo inoltre al centro dell’attenzione un gruppo di personaggi che non ha mai avuto particolare fortuna nel cinema pop – il film del 2016 di David Ayer è stato un successo totalmente casuale, mentre il sequel/reboot di Gunn nel 2021 è stato trascinato nel vortice morente del DCEU.

Intelligentemente, comunque, Rocksteady ha anche apportato il giusto cambiamento al tono del gioco. Mentre i personaggi vengono resi con una forte caratterizzazione, specialmente Captain Boomerang che abbiamo adorato col suo leggero modo di affrontare le cose, le storie oscure e cruente di Gotham si trasformano in scazzottate solari, condite da battutine continue e comiche, che prendono con piglio leggero anche un compito follemente arduo come salvare il pianeta dalla Justice League corrotta.

La storia, appunto, ruota intorno a queste premesse: una forza misteriosa, che in realtà sappiamo benissimo essere Braniac, ha soggiogato molti membri della Justice League, e ora Metropolis è un campo di battaglia perenne. I Terminauti di Braniac stanno pattugliando le strade e i tetti degli edifici, e quelli che un tempo erano chiamati supereroi ora sono alfieri dello scacchiere del despota, le cui motivazioni vengono poi spiegate nel corso della storia. Lanterna Verde, Batman e Superman sono diventati i cani da guardia del supervillain, e la speranza è ormai persa. La ARGUS di Amanda Waller decide quindi di ricorrere a un piano forse suicida: costringere quattro criminali di Arkham, che rispondono al nome di Deadshot, Harley Quinn, Captain Boomerang e King Shark, a combattere insieme per fermare la Lega della Giustizia.

La cosa che Suicide Squad: Kill the Justice League fa bene è quella di costruire un legame attraverso i personaggi, raccontando quanto serve della loro storia per empatizzare giusto un po’ e spingere i giocatori a comprendere come quattro personalità così differenti possano formare un team praticamente inarrestabile (grazie a un eccessivo uso di armor plot, ammettiamolo). Una cosa che ad esempio il film di Ayer non è mai stato in grado di fare. La personalità dei vari personaggi viene messa in scena in modo brillante, anche grazie ad animazioni facciali molto buone e scelte registiche intelligenti, che tuttavia in alcuni casi si lasciano trasportare dai limiti del concept fortemente multiplayer (anche se mai accennato prima dell’endgame, il che è molto strano), rinunciando a una rappresentazione più adeguata.

La trama procede così in maniera abbastanza spedita, senza molte spiegazioni (“fate questa cosa, e grazie a questa cosa, anche se non sapete perché, potremo fermare Flash”) ma non senza qualche colpo di scena, crollando però sul finale. Niente spoiler, anche se potete immaginare cosa accada. E forse è anche per questo che le giustificate lamentele di alcuni fan hanno avuto così tanto rilievo. Le eliminazioni di alcune icone come Superman, ma soprattutto del Batman dell’ArkhamVerse, vengono trattate con estrema superficialità sia dal gruppo che dal gioco stesso, dando quasi l’impressione che il gruppo fosse naturalmente destinato a fare tutto ciò, senza tante difficoltà. L’ultima inquadratura della campagna principale, che apre poi le porte all’endgame, è poi il momento meno riuscito tra tutti, privo di un vero mordente o di soddisfazioni. Peccato.

Azione e caos… anche troppo

Fin qui, Suicide Squad: Kill the Justice League non si comporta diversamente rispetto a tanti altri esponenti di genere, ma è nel gameplay puro che offre il meglio di sé. Gameplay che, attenzione, è tutt’altro che perfetto, ma perlomeno riesce a fare ciò che deve fare: intrattenere.

Il gioco risulta essere un miscuglio di vari giochi, con elementi presi da altre serie (non Arkham) presi e incollati per costruire un puzzle più o meno piacevole. Il sistema di combattimento è completamente rinnovato dalla serie di Batman, e stavolta il focus sono le armi da fuoco. L’azione è straordinariamente frenetica, spesso fin troppo caotica: i quattro protagonisti, ognuno dotato di un sistema di movimento personale, sono costretti a muoversi in continuazione sul campo di battaglia, sfruttando la verticalità degli ambienti e spostandosi a grande velocità tra un punto e l’altro per eliminare i Terminauti. Da questa premessa, è chiaro capire perché Deadshot sia il personaggio più riuscito dell’intera produzione: con il suo jetpack, Floyd Lawton è un perfetto soldato che si sbizzarrisce in continue evoluzioni aeree, sfruttando inoltre le sue innate doti di cecchino che non manca mai il bersaglio.

Librarsi in aria e fermarsi in volo per assaporare la gioia dell’headshot è molto soddisfacente, ed è per questo che gli altri protagonisti, lato gameplay, passano in secondo piano. Anche la fase esplorativa di Metropolis gode dei migliori momenti nei panni di Deadshot, lasciando ad Harley Quinn il ruolo di ultima della classe. Questo è un problema? Beh, sì, nel momento in cui il suo sistema di movimento presenta importanti limiti che si riscontrano anche durante le missioni. Persino la fase di spostamento in città, con la storica fidanzata di Joker, è fortemente limitata. Mantenere un flusso adeguato è difficile, ma questo a dire il vero lo si può dire un po’ per tutti i personaggi, se non imparerete a cambiare in continuazione tra di loro.

Ma questo caos, a dire il vero, emerge anche dalla concezione stessa della progressione. È innegabile che Rocksteady abbia fatto davvero di tutto per proporre in continuazione novità ai giocatori, tra ben 8 slot di equipaggiamenti disponibili per ogni personaggio (non da subito) e 3 distinti rami delle abilità, che a grandi linee sembrano ricordare quelli di Borderlands e affini. Il problema è che in Borderlands la progressione è ragionata, e non infarcita di infiniti parametri, statistiche e limiti da tenere in considerazione. Sotto questo aspetto, Rocksteady ha palesemente esagerato nel tentativo di rendere ancor più folle l’azione. Il già confusionario HUD viene in combattimento costantemente bombardato di altre icone che si aggiungono a schermo, rendendo quasi impossibile per un giocatore capacitarsi di quali sono i reali parametri e le skill attive. Le boss fight riflettono tali sensazioni, anche se per la maggior parte, almeno, sono ben concepite.

Per chi volesse saperne di più, sappiate che c’è molto da approfondire con il sistema di combattimento del gioco. Ci sono afflizioni elementali, varie statistiche che possono essere modificate, vantaggi che possono essere sbloccati, attributi da migliorare, attacchi mieti-scudi per recuperare le barriere protettive, contrattacchi, e troppe altre cose. Giocare a Suicide Squad KTJL diventa quasi un lavoro, per la mole di impegno mentale richiesta. Fortunatamente, basta una buona build per riuscire a superare tutta la storia senza fatica: il nostro Deadshot, ad esempio, è in grado di congelare i nemici tenendo premuto R2, e a ciò si aggiungono poi alcuni attacchi acrobatici e speciali che aiutano nel combattimento. Tutto ciò è quasi travolgente, e per quanto riguarda il numero di armi, varietà, gadget e altro, siamo davvero dalle parti di Borderlands.

Se quindi il combat system è molto piacevole, molto più che in Avengers di Crystal Dynamics (sappiamo di averlo nominato già troppe volte, ma il paragone è naturale), ciò che va a smontare il resto della produzione è… tutto il resto. Perché tutto il resto di Suicide Squad: Kill the Justice League ha il sapore di un videogioco obsoleto e privo di idee, paragonabile a un qualsiasi titolo mobile free to play che basa la sua esistenza sulla ripetitività e l’acquisto di skin.

Un mondo desolante, in tutti i sensi

Pur condividendo lo stesso universo con la serie Arkham di Batman, nonostante alcune retcon abbastanza discutibili, Suicide Squad: Kill the Justice League si pone come un prodotto completamente differente dall’immensa trilogia (più Origins) realizzata da Rocksteady in passato. Si passa così dalla fredda e oscura Gotham, teatro di bande criminali che vengono sgominate nel silenzio dal Crociato che ama i pipistrelli, alla solare e colorata Metropolis, casa di Superman e della Justice League, nella quale praticamente ogni edificio è un omaggio a un personaggio, un’azienda o altro dei fumetti DC. Su questo, i fan dei fumetti possono stare tranquilli: gli easter egg sono tanti, e forse pure troppi, viste alcune forzature.

Il problema nasce laddove si va a esaminare nel dettaglio questa città, la quale, artisticamente parlando, non equivale neppure a un’unghia della mitica Gotham City. Mentre la città di Batman Arkham era un concentrato di design, carisma e interesse, la Metropolis di Suicide Squad è un mero artifizio, una città insipida, priva di vita e che non ha nulla da dare ai giocatori se non un susseguirsi di strade, edifici e grattacieli che diventano il teatro degli scontri tra i Terminauti di Braniac e la Task Force X. La destinazione d’uso della città, va detto, è completamente opposta alla serie Arkham: se in Arkham City e Arkham Knight la città di Gotham era quasi una protagonista, con le sue strade dominate dal crimine e gli assordanti silenzi della notte infinita sulla quale vigila l’Uomo Pipistrello, in Suicide Squad decade completamente questo concetto, e l’ambientazione diventa solo un modo per dire ai giocatori “andate, e uccidete tutti i nemici che incontrate”.

La povertà nel design, che include anche quello dei nemici, pedissequamente anonimi, va a braccetto con un comparto grafico parecchio sottotono, che include anche texture approssimative e davvero poco apprezzabili, in certi casi addirittura inferiori alla saga Arkham del decennio scorso. Sembra quasi, e probabilmente è così, che il team di sviluppo abbia speso più tempo a progettare le skin dei protagonisti e delle loro armi, specie quelle dei set Inferno che, a essere sinceri, sono davvero belle da vedere (diamo mezzo voto in più per l’impegno, ma non oltre), piuttosto che a concentrarsi sull’ambientazione che fa da sfondo a tutto questo. Stendiamo poi un velo pietoso sulle aree dell’endgame, di cui però parleremo più avanti. Il comparto tecnico si dimostra solido e affidabile nei suoni e nelle prestazioni, ma come detto è abbattuto dallo scarso appeal grafico.

Ampliando il concetto di design, comunque, spendiamo qualche parola sulla struttura delle missioni. Qualche, appunto, perché è inutile discutere eccessivamente: siamo di fronte a un prodotto poverissimo, quasi imbarazzante per gli standard ai quali ha abituato Rocksteady. L’intera Metropolis sarà caratterizzata da eventi continui, missioni cioè che riguardano Braniac e il suo esercito pronto a terraformare il pianeta partendo appunto dalla città. Il fattore aumenta mano a mano che ci avviciniamo all’endgame, per poi portare a un’esplosione di continui incarichi ed eventi da completare per sbloccare contenuti estetici ed equipaggiamenti. Sfortunatamente, le tipologie di missioni disponibili si contano sulle dita di una mano, e richiedono il più delle volte di non spostarsi nemmeno dall’area di attivazione della quest ma semplicemente di eliminare tutti i nemici che cercheranno di sbaragliare la Task Force X.

E il ciclo si ripete all’infinito, come nel più classico degli ormai già abusati live service: si passa alla Sala della Giustizia per la cassa premio giornaliera e i potenziamenti delle armi, si esce a risolvere incarichi e missioni sempre uguali, ed eventualmente ci si dedica ai contenuti endgame veri e propri. Una povertà lessicale impressionante nel modo di raccontare e vivere i videogiochi, che potevamo forse accettare 5 anni fa quando questi prodotti stavano ancora cercando di avere fortuna, ma che oggi, dopo tanti esempi negativi come quel Marvel’s Avengers più volte accostato alla produzione, non si possono scusare. Specie se lo studio in questione ha dato vita a una delle più grandi saghe di videogiochi sui supereroi mai viste.

Endgame? Un punto interrogativo immenso

Come tutti i live service, la campagna di Suicide Squad: Kill the Justice League non è altro che un lungo antipasto al piatto forte (?), l’endgame, quell’insieme cioè di contenuti che accompagnano il giocatore anche dopo aver concluso la storia principale e che devono invogliare a trascorrere più o meno giornalmente qualche ora all’interno del titolo attraverso attività e compiti. Tutto questo in un mondo ideale, certo. Non quello di Metropolis.

La verità è che l’endgame di Kill the Justice League non porta assolutamente nulla di nuovo, e anzi siamo di fronte, tanto per restare in un paragone già fatto in precedenza, a una copia carbone del vituperato Avengers di Crystal Dynamics, a lungo preso a esempio negativo di questo genere. La storia, attraverso un passaggio narrativamente affascinante anche se poco incisivo nella struttura globale del titolo, introduce quello che poi diventa il vero e proprio terreno di prova per i contenuti endgame, in un’incessante lotta contro Braniac per salvare la Terra dalla distruzione. Sorvolando sull’ambientazione, tra le più anonime mai viste e sicuramente il punto più basso nella storia di Rocksteady, il nocciolo del problema è ancora una volta rappresentato dal concept inefficace.

Avvicinandosi all’endgame intorno alle 15/20 ore di gioco a seconda di quanto avete deciso di dedicarvi alle attività secondarie e alla ricerca di qualche chicca, si intuisce chiaramente come questo sia strutturato, e non cambia di una virgola rispetto ad altri giochi di genere. Letteralmente, non cambia nulla: ci sono contenuti giornalieri e settimanali, taglie perpetue e giornaliere, eventi che si ripetono all’infinito, missioni a variabili livelli di difficoltà, requisiti e limitazioni che, ovviamente, riciclano in massa tutto ciò che è già stato affrontato nel corso del titolo, spingendo stavolta con maggior decisione sulla componente multiplayer cooperativa fino a quel momento poco esplorata.

Tutto ciò conduce insomma al solito, immenso circolo di gameplay loop dal quale è relativamente facile uscire, a meno che non abbiate intenzione di ottenere ogni singolo oggetto e contenuto disponibile nel titolo. E la cosa riguarda solamente la versione attuale, poiché la struttura stagionale porterà poi altri personaggi, armi e altro ancora all’interno del gioco. Il vero dubbio, però, resta, anche perché Suicide Squad KTJL doveva fare di tutto per scrollarsi di dosso l’appellativo di clone di Avengers. Sotto l’aspetto dell’endgame, forse il più importante per il mantenimento di un live service duraturo, non ci è proprio riuscito, e anzi non nascondiamo che la fase finale di Avengers nasceva con premesse di gran lunga superiori.

In generale, come avrete potuto capire dal resto della recensione, i punti oscuri di una produzione nata forse troppi anni fa sono tanti. Suicide Squad: Kill the Justice League è un videogioco capace di intrattenere quanto basta per la sua durata, ma che risulta difficile da giustificare nell’ottica di uno studio che ha sempre spinto sulla grande qualità dei suoi prodotti.

Ringraziamo Warner Bros. Italia per il codice review.

7.1
Review Overview
Riassunto

Suicide Squad: Kill the Justice League è un gioco che fa di tutto per essere divertente. Davvero, di tutto: ci sono sempre missioni da completare, nemici da eliminare, il gameplay è abbastanza soddisfacente anche se enormemente caotico, le armi sono folli tanto quanto i protagonisti, e la storia è ben scritta (fino a pochi istanti prima del finale). Il problema è la natura stessa del progetto, nato in un momento nel quale questo genere stava nascendo e pubblicato in un momento nel quale questo genere ha già dimostrato i suoi enormi limiti. La Metropolis di Rocksteady, poi, non ha neppure un briciolo della magnificenza di Gotham City, e l'endgame non riesce a incidere, neppure sulle ambientazioni. Vedremo cosa ci riserverà il futuro, ma l'impressione è che Suicide Squad sarà ricordato come qualcosa che ha provato ad accarezzare i sogni di gloria, e che non ci riuscirà. La vera Rocksteady, sia ben chiaro, non è questa.

Pro
I personaggi sono ben scritti Il gameplay è abbastanza soddisfacente, anche se troppo caotico Tantissimi elementi del gameplay...
Contro
... E sono anche troppi! Metropolis e il design generale sono totalmente anonimi L'endgame non scioglie i dubbi
  • Concept & Trama7
  • Gameplay8
  • Comparto Artistico6.5
  • Comparto Tecnico7
Scritto da
Andrea "Geo" Peroni

Entra a contatto con uno strano oggetto chiamato "videogioco" alla tenera età di 5 anni, e da lì in poi la sua mente sarà focalizzata per sempre sul mondo videoludico. Fan sfegatato della serie Kingdom Hearts e della Marvel Comics, che mi divertono fin da bambino. Cacciatore di Trofei DOP.

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