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The Last of Us 2 è una tempesta perfetta | Emozioni da gamer

I’ll be gone in a day or two”: recitano così le lyrics di “Take on me”, la canzone della band norvegese A-ha che con il suo sound e le sue parole ci riporta immediatamente indietro alla cultura pop anni Ottanta, tanto amata da chi l’ha vissuta e sempre più apprezzata anche dai giovani che vi si sono approcciati per vie indirette (Stranger Things, anyone?).

Quando Ellie trova per caso una chitarra miracolosamente intatta tra le rovine di una società distrutta, la giovane protagonista e la sua compagna Dina si concedono un attimo di respiro. La musica, come spesso avviene, trasporta le due ragazze e noi spettatori in una dimensione parallela, anche se in realtà siamo al secondo piano di un edificio pericolante, dalle pareti divelte e divorato dalla vegetazione. Così anche “Take on me” assume un diverso significato, dolce e malinconico allo stesso tempo.

Su The Last of Us parte 2 sono stati già scritti fiumi di parole. Dopo aver giocato e rigiocato, ho riflettuto molto prima di decidere da dove cominciare a mettere nero su bianco il mio pensiero. Alla fine ho trovato il punto di partenza: la musica.

Già nel primo The Last of Us la musica del premio Oscar Gustavo Santaolalla aveva contribuito a rendere la narrazione iconica, dandole una colonna vertebrale solida, riuscendo a rendere un’emozione lampante grazie all’utilizzo di una manciata di note. In The Last of Us parte 2 il compositore segue la stessa direttiva, accompagnando le scene in modo non invadente, entrandoci sotto la pelle a nostra insaputa. Ma il secondo capitolo dell’opera di Naughty Dog si spinge oltre, anche con la musica. Joel suona la chitarra, come suo fratello Tommy. Sono passati  cinque anni da quando abbiamo lasciato Joel ed Ellie diretti verso Jackson, alle nostre spalle una scia di sangue difficile da cancellare. Jackson è al sicuro, la comunità è ben organizzata ed è riuscita a trovare una parvente normalità in un mondo infestato. Joel ha mantenuto la sua promessa e ha insegnato ad Ellie a suonare la chitarra. Le ha anche dedicato una canzone dei Pearl Jam, dal testo dolce e struggente allo stesso tempo: “se mai dovessi perderti”, questo il significato, “perderei me stesso ma voglio essere positivo, perché quando immagino il mio futuro con te sono felice”.

Già dai primi minuti di The Last of Us parte 2 sentiamo nell’aria che qualcosa tra Joel ed Ellie si è spezzato. Il risentimento e il dubbio allontanano Ellie da quella che è ormai una figura paterna. Da parte di Joel percepiamo un affetto strabordante, la malinconica consapevolezza del perché qualcosa tra loro si è rotto, insieme all’intenso desiderio di riaggiustarlo. Nessuno ci spiega nulla, non ci sono discorsi espliciti, racconti, giri di parole, eppure un’unica scena di apertura ci comunica questo contesto narrativo. Si rimane a bocca aperta non appena Joel comincia a cantare. Ci incanteremo ancora: durante la struggente versione di “Take on me” interpretata da Ellie per Dina, durante le note abbozzate e stonate che Ellie prova a suonare a fine avventura e poi ancora e ancora. The Last of Us parte 2 si apre con una carrellata sulle corde della chitarra di Joel e termina allo stesso modo, con quella chitarra appoggiata ad una finestra aperta, in una casa silenziosa. Abbandonata.

Una questione di punti di vista

Così come nel videogioco, anche nella vita vera si sono scontrati punti di vista totalmente opposti: c’è chi si è imbattuto nei leaks con serenità, interessato più a mettere mano in prima persona al gameplay, c’è chi si è strappato le vesti e ha inneggiato al complotto, c’è chi (come la sottoscritta), ha vissuto in un bunker per alcune settimane, evitando qualsiasi notizia di settore per non rischiare di rovinarsi l’esperienza. Quando finalmente l’opera è giunta nelle mani del grande pubblico, la situazione non è cambiata: The Last of Us: Parte 2 è un gioco di grigi, dove bene e male si fondono, ma i giudizi che gli sono piovuti addosso invece sono stati o bianchi o neri, senza vie di mezzo. La stampa gli ha dato 10, punteggio pieno, ma ecco che il pubblico ricopre il gioco di zeri su Metacritic, tanto che il sito è costretto a modificare le sue regole per evitare futuri review bombing a poche ore dall’uscita sul mercato. La rabbia, la stessa che permea i protagonisti, si è impossessata anche dei giocatori: i personaggi sono stati snaturati, Joel è diventato una macchietta, un vecchio credulone, mentre Ellie ha perso completamente la testa. Abby è un personaggio odioso, irrealistico, il gameplay non è innovativo, ecc ecc… C’è da incazzarsi, quello forse è impossibile impedirselo, ma di sicuro non c’è da stupirsi.

The Last of Us: Parte 2 è tra i giochi più coraggiosi che abbia mai incontrato: è coraggioso nelle tempistiche, nella messinscena, nella narrazione, nei personaggi. Non è didascalico eppure il suo messaggio è devastante nella sua severa semplicità. Naughty Dog ci ha messo davanti a un prodotto difficile, a volte frustrante, che fa tremare le mani sul pad così come trema la mano di Ellie sul pomolo di una porta, per il troppo carico emotivo che ha sulle spalle. Abby è un personaggio coraggiosissimo, con una scorza da superdonna che nasconde una personalità molto più complessa e piena di sfaccettature di quanto si possa immaginare. È coraggioso l’inizio del gioco, crudele, spiazzante, ma è altrettanto coraggioso il finale (ancora più aperto rispetto al primo The Last of Us) che ci lascia nel silenzio assordante di mille pensieri ad affrontare, ancora una volta, le conseguenze delle nostre azioni. The Last of Us parte 2 è coraggioso nelle ambientazioni, a volte quasi labirintiche ma sempre stupefacenti nella loro ricchezza di particolari, nel loro potere evocativo. Tante volte mi sono persa ad osservare gli interni di una casa in rovina, cogliendo sprazzi di vite spezzate che aleggiano nei dettagliati oggetti abbandonati dai loro proprietari: reminiscenze.

Neil Druckmann, da considerare in tutto e per tutto il “regista” dell’intera opera, e il suo team sono stati coraggiosi anche nel gameplay, riuscendo a migliorarlo rispetto al primo capitolo senza rivoluzionarlo: I’m you, but better.

The Last of Us: Parte 2 è coraggioso perché ha deciso di non intraprendere la strada più facile, pensando a una scrittura che avrebbe accontentato e reso felici tutti, ma scegliendo di dar vita a delle vicende più complesse, più dolorose, in grado di far riflettere. In fondo, quasi mai nella vita le cose vanno come vorremmo. “Nessuno ama questi personaggi più di me, forse solo Troy Baker (l’attore che interpreta Joel, ndr.)” ha dichiarato Druckmann in una recente video intervista. Ed è così che Joel non rinnega mai se stesso e da personaggio diventa espressione di tutti noi, di un’intera umanità egoista, violenta, rassegnata, che però ama ancora e non smette di sperare in un futuro migliore per chi ha vicino. È così che Ellie deve perdere tutto e affrontare la sua paura più grande, il rimanere sola, per salvarsi davvero dal diventare un mostro senz’anima. È così che Abby le somiglia, ma è un passo avanti perché ha già capito che la vendetta non l’ha fatta stare meglio, anzi, certe ferite si riaprono ogni notte su sprazzi da incubo che non si scacciano solo con la violenza.

C’è chi da un videogioco chiede semplicemente il divertimento. Che in tanti cercassero un passatempo più immediato, meno doloroso, è comprensibile. Questione di punti di vista.

Una discesa negli inferi

Ora dopo ora, si viene trascinati in una spirale di pericoli sempre più soverchiante. La maledetta Seattle è una zona di guerra ostile e flagellata da una pioggia incombente, sempre più incalzante. Ci danno la caccia i temibili runner, ora resi ancor più aggressivi, i clicker, da sopraffare con l’ingegno, gli stalker, silenziosissimi e impossibili da rilevare, senza dimenticare i distruttivi bloater. A questi nemici si aggiunge ora un altro stadio di infetti, gli shambler, difficili da tenere a bada soprattutto negli spazi ristretti a causa della loro mole e delle loro esalazioni pestifere. Naughty Dog ha riservato al giocatore non poche sorprese e situazioni uniche, infetti mai visti prima e contestualizzati nei luoghi quasi inaccessibili in cui sono nati. Inutile dire che certe situazioni, con la tensione che sale passo dopo passo (si percepisce che qualcosa non va, è tutto troppo silenzioso…) sono degne di un horror di altissimo livello.

Per superare i nemici umani invece, il level design trasforma l’area di gioco in una sofisticata scacchiera, dove il 90% delle volte il segreto per avere la meglio sono erba alta e coperture di qualsiasi genere (pareti, macchine, oggetti ammassati e quant’altro). Anche in modalità intermedia/standard, l’attaccare a testa bassa non è una buona soluzione: Iene e Lupi, le fazioni che ci troveremo ad affrontare, hanno caratteristiche peculiari ma sono entrambi gruppi ben organizzati e dalla vista aguzza. L’IA dei nemici e degli alleati è stata migliorata, rendendo l’avventura ancor più realistica.

Tra i nuovi elementi di gameplay di questo secondo capitolo spicca la presenza dei cani, in grado di fiutare la nostra scia e scovarci anche se siamo nascosti: è fondamentale continuare a muoversi, anche dopo un’uccisione, per non rischiare di venire scoperti di lì a poco. Se lo stealth fallisce e si arriva allo scontro frontale (inevitabile, in certe circostanze), il giocatore ha la possibilità di schivare con L1 al momento giusto per poi decidere di fuggire o contrattaccare, una dinamica che rende gli scontri ancor più veloci e al cardiopalma. L’approccio furtivo è preferibile in certe circostanze (dalla difficoltà intermedia in su non verremo certo ricoperti di munizioni), ma ci sarà spazio anche per il puro divertimento più aggressivo, imbracciato il nostro bel fucile a pompa. Niente di particolarmente innovativo, come abbiamo già accennato, ma tutto sicuramente migliorato sotto ogni aspetto: più libertà di movimento, più esplorazione, un’infinità di moveset tutti da sfruttare per rendere i combattimenti davvero vari, realistici e impattanti quasi a livello cinematografico (non a caso, su Twitter spopolano gli utenti che si stanno cimentando a creare gif di gameplay sempre più spettacolari).

Naughty Dog non ci ingannava: il sistema di animazioni contestuali è bello da vedere e bello da sentire, pad alla mano. Le armi non sono molte ma sono ben fatte, in grado di stimolare la nostra creatività di assassini. Non mancano gli scontri unici, boss e miniboss: oltre ad avere meccaniche peculiari, sono in grado di mettere il giocatore davanti a dilemmi morali non da poco. In prima persona mi sono trovata diverse volte ad esitare nel premere i tasti, pensando “non lo voglio fare. Si potrà non farlo?”.

Le mappe di The Last of Us: Parte 2 sono costituite da percorsi obbligati in aree comunque molto grandi, a volte fin troppo dispersive. A meno che non abbiate un intuito e un senso dell’orientamento da vere Giovani Marmotte sarà difficile capire al primo colpo quale sia la strada da seguire, anche se avrete degli elementi all’orizzonte che vi indicano grossomodo qual è il vostro obiettivo. Non conoscendo le mappe è comunque difficile azzeccare al primo colpo il percorso giusto, soprattutto se si è acquattati nell’erba alta e circondati da nemici. A volte si sente la mancanza di una mini mappa a schermo, anche molto scarna, che ci indichi qual è il nostro obiettivo (un pertugio, una porta socchiusa, una strada). Non è sempre facile liberarsi completamente di tutti i nemici, anche se è consigliabile nel caso vogliate esplorare i dintorni più approfonditamente in cerca di materiali e collezionabili. Vi troverete spesso impossibilitati a proseguire nel caso non abbiate raggiunto il vostro obiettivo senza farvi scoprire o senza fare una strage: vi ci vorrà del tempo per aprire una porta o spostare un ostacolo e se sarete bersagliati dai nemici non ci sarà modo per voi di proseguire illesi. È bene ricordare che il gioco dà la possibilità all’utente di customizzare minuziosamente il livello di difficoltà, andando addirittura a modificare singoli parametri come l’aggressività dei nemici e la furtività di Ellie.

Essendo così vario e così intenso in ogni sua parte, il titolo ha un’alta rigiocabilità: una seconda run non solo vi aiuterà ad approfondire la trama (collegherete meglio i puntini), ma avrete voglia di provare nuovi approcci per proseguire, di completare i vari rami di potenziamenti e portare al massimo la distruttività di ogni vostra arma. Provare per credere.

Un unico pensiero felice

E’ questo che innesca la scintilla, che ribalta la situazione. È questo che rende l’uomo diverso da una bestia: la capacità di cogliere, anche durante il picco più terribile di abbruttimento e disperazione, un ultimo brandello di speranza. The Last of Us parte 2 lascia il giocatore con tante domande e altrettanti insegnamenti. La violenza è continua ed efferata (il gioco è ASSOLUTAMENTE Pegi-18), il sangue spruzza sulle pareti, sui soffitti, sui pavimenti, impregna i vestiti, deforma i volti rendendoli sempre più disumani. Naughty Dog non ci risparmia e non si risparmia, ma niente di tutto questo è etichettabile come ingiustificato “gore” o violenza gratuita. Il dolore non è spettacolarizzato ma è necessario in un contesto dove è difficile mantenere la propria moralità quando si lotta giorno per giorno per sopravvivere o, ancora peggio, dove l’unico scopo della vita è provocare dolore a chi a sua volta ci ha fatto del male. E allora, a meno che non si abbia un sasso al posto del cuore, diventa difficile premere i tasti e fare quello che si deve fare. Qualche scena è forse un po’ forzata, come d’altra parte accadeva nel primo capitolo, ma un minimo di suspension of disbelief è necessaria in un mondo caratterizzato dall’epidemia zombie.

The Last of Us: Parte 2 non ci lascia solo con un senso di rabbia, solitudine e livore, ma ci insegna ad ascoltare: solo chi sa ascoltare bene coglierà un finale, disperato messaggio di speranza e di amore. A proposito di amore: nonostante ancora in molti lo sostengano, non si tratta di un gioco prettamente LGBTQ+. I sentimenti, come è giusto che sia nel 2020, vanno oltre il sesso di chi li vive. L’affetto e il desiderio che provano Dina ed Ellie hanno lo stesso valore dell’attrazione che Abby ed il suo compare Owen provano da tempo l’uno per l’altro. L’identità di Lev (personaggio dall’infinito potenziale) è sfaccettata e complessa e non va relegata unicamente alla sfera sessuale.

A parte alcuni sprazzi di spensieratezza che viviamo quasi unicamente nei flashback, l’intero viaggio non lascia momenti di respiro. Il giocatore è portato costantemente a temere un mondo inesplorato e ostile, con scontri che si susseguono in rapida sequenza e non sono mai uno identico al precedente. I piccoli enigmi ambientali sono in generale di facile risoluzione. Nonostante il ritmo serrato e gli scenari mozzafiato, la parte centrale del titolo risulta abbastanza diluita, con grandi distanze da percorrere che sarebbero sicuramente potute durare anche 4-5 ore in meno senza nulla togliere all’esperienza completa. Si sente inoltre la mancanza di un colpo di scena, di una svolta: la messinscena è matura e registicamente raggiunge vette notevoli (l’influenza “Kojimiana” è fin troppo presente in alcuni momenti clou dell’avventura), ma nonostante questo è tutto abbastanza prevedibile e lineare. L’intero gioco analizza le conseguenze della scelta di Joel e delle sue azioni avvenute sul finale del primo capitolo, rimanendo indissolubilmente legato a quel particolare avvenimento che condiziona tutto il resto della narrazione. Alcuni personaggi infine risultano poco approfonditi, con del potenziale purtroppo inespresso.

Nonostante The Last of Us: Parte 2 non sia IL gioco perfetto, dai modelli dei personaggi alle ambientazioni (come dimenticare il museo, l’acquario, l’hotel, l’ospedale…), dalla regia alla scelta dei colori e delle illuminazioni, dalla scrittura al doppiaggio (sì, ottimo anche in italiano), l’amore degli sviluppatori traspare lampante dall’inizio alla fine dell’avventura.

The last of Us: Parte 3 è più necessario di quanto non lo fosse The Last of Us parte 2. Il secondo capitolo non è considerabile di passaggio, in quanto introduce personaggi maledettamente iconici e sparpaglia le carte in tavola in modo irrimediabile.

Al termine della tempesta perfetta che ci travolge durante l’avventura, il paesaggio che ci si presenta davanti è silenzioso e quasi immobile, solitario. Non siamo più abituati a questa immobilità e i titoli di coda ci lasciano svuotati. Si tratta di un’alba nuova, che segna di fatto il canto del cigno di PlayStation 4. Possiamo criticarlo, possiamo non accettarlo dal punto di vista della trama o del gameplay, ma The Last of Us parte 2 è un gioco fondamentale, che contribuisce a segnare il picco tecnico e narrativo di questa generazione. Si tratta di un’opera così completa e controversa da aver addirittura spinto una fetta di pubblico a lanciare una petizione per chiedere la riscrittura della sceneggiatura. È una reazione violenta, di vera e propria negazione per le scelte di un “padre” che in fondo ha solo voluto il nostro bene e che forse… in cuor nostro, anche se non riusciamo ancora ad ammetterlo, abbiamo già perdonato.

Scritto da
Chiara Ferrè

Ciao, sono Chiara. Cresciuta a pane, Harry Potter e Final Fantasy, ho da sempre una grande passione per la narrazione in tutte le sue forme. Cerco campi di battaglia, magici cappelli, lucertoloni volanti. Ho una penna e non ho paura di usarla.

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