Game, set, match. In un paio d’ore, ieri, Microsoft ha dato un potentissimo colpo di spugna (anche) alla divisione Xbox, con quello che ha tutta l’aria di essere un segnale molto chiaro: è finito il tempo delle mele. Il grano non è più infinito. È lontano quel periodo nel quale Xbox poteva sperimentare e allargare i suoi orizzonti. Ora, come per tutte le grandi aziende, c’è bisogno di far quadrare davvero i conti.
Avvisaglie di questo tipo c’erano già state circa un anno fa: a maggio del 2024, se ben ricordate, Microsoft aveva chiuso Tango GameWorks, autori di quella piccola perla chiamata Hi-Fi Rush, poi salvati in extremis da Krafton. Un team che era stato elogiato appena un anno prima da Phil Spencer, parlando di nuovi orizzonti e della possibilità di sperimentare con nuove IP e giochi più contenuti. Evidentemente, non è così. O forse non è più così, ecco, perché se prima il Game Pass era visto come una vetrina per consentire agli studi di espandersi e mostrarsi, oggi è diventato lo strumento che deve guardare solo ed esclusivamente al profitto.
Ora, non scenderemo nuovamente nell’annosa discussione che riguarda la sostenibilità del servizio in abbonamento di Microsoft: la compagnia sostiene che il servizio riesce a generare abbastanza profitti (pur ritoccando alcune voci del bilancio in modo non proprio chiarissimo, accostando Game Pass ad altre voci). Se dobbiamo attenerci ai puri fatti, qualcosa, comunque, non va. Basti pensare alla riorganizzazione del servizio, che su console, ad esempio, non offre più i giochi first party al day one, a meno di non possedere il livello Ultimate.
Oh, sia chiaro: Game Pass era e resta ancora oggi un sogno a occhi aperti per i giocatori, e su questo spero che non ci sia alcun dubbio. A un prezzo ancora oggi misero è possibile mettere le mani su una quantità spropositata di giochi, anche recenti. Se oggi vi abbonate a Game Pass, potete giocare DOOM: The Dark Ages, Avowed, Black Ops 6, South of Midnight e Oblivion Remastered, solo per citare i più recenti. Quello che forse sta balzando all’occhio, con i recenti avvenimenti – pardon, sconvolgimenti – è che Microsoft ha iniziato a guardare con più attenzione ai conti di Xbox.
Non poteva essere altrimenti, dopo una fase di acquisti compulsivi. Nel giro di pochi anni, Microsoft ha speso più o meno 80 miliardi di dollari per portare a casa studi come inXile, Obsidian Entertainment e Playground Games, oltre ovviamente ai maxi-investimenti che hanno riguardato ZeniMax Media (il gruppo di Bethesda) e Activision Blizzard King, insieme a tutte le sue IP. Il piano era chiaro: sfruttare un gigante come Call of Duty per portare Game Pass ovunque.
Ha funzionato? Boh, Microsoft non ce lo dice, e non possiamo e non vogliamo fare supposizioni basate sul nulla. I numeri, comunque, non sono proprio così positivi: c’è stato un incremento nel numero degli abbonati a Game Pass, ma probabilmente questo aumento è di gran lunga inferiore a quello che i dirigenti di Redmond si aspettavano.
In una torrido pomeriggio di luglio, Microsoft ha così deciso di fare piazza pulita, lanciando un segnale che oggi appare chiarissimo: i soldi son finiti. O meglio, non sono infiniti. È tempo di guardare con più attenzione alla gestione dei progetti, perché, forse (il forse c’è sempre), Game Pass non riuscirà a rispettare quel gigantesco e ambizioso progetto di espansione immaginato da Microsoft qualche anno fa.
La cancellazione di Everwild, gioco annunciato da Rare nel lontano 2019, è un colpo duro. Durissimo. Lo studio che ha creato 007 GoldenEye, Banjo-Kazooie e Sea of Thieves si ritrova ora con le pigne nel sacco, con il suo ultimo videogioco, appunto Sea of Thieves, che ha già ben 8 anni sulle spalle. Spettacolare, sia chiaro, ma il gigantesco talento di Rare sembra ora intrappolato in questo live service.
Con la chiusura di Everwild, chissà quanti altri anni passeranno prima di vedere un nuovo gioco di Rare. Se ne riparlerà quasi certamente dopo il 2030. Phil Spencer, nel suo comunicato, è stato però chiaro: “siamo chiamati a fare scelte difficili ora per continuare ad avere successo in futuro”. Le classiche supercazzole aziendali, al pari di una PlayStation che elogia Marathon qualche giorno prima di farlo cadere nell’oblio più totale. Fa ridere che l’ultima notizia su Everwild, prima di quella di ieri, risalisse a febbraio, quando lo stesso Spencer aveva detto che il progetto stava andando avanti ed era bellissimo. Meno male: pensate se fosse stato brutto…
Il diktat è imperante: stop a progetti estremamente costosi che non ripagheranno mai l’investimento. E così, senza troppe cerimonie, vengono cancellati anche un MMORPG dal team di The Elder Scrolls Online (al momento non abbiamo alcuna informazione in merito, se non che il suo nome in codice fosse Blackbird) e persino il reboot di Perfect Dark.
Sì, proprio quel reboot che lo scorso anno venne ri-presentato da Xbox come un progetto maestoso e visionario. Ci avevamo persino scritto uno speciale, avendo tante speranze per questo rilancio. Col senno di poi, tempo sprecato. Sia per noi che per Microsoft, che ha ben pensato di chiudere anche The Initiative, lo studio che stava lavorando a Perfect Dark. Una realtà creata appositamente dall’azienda americana nel 2018, con la promessa di creare giochi AAAA. Una sorta di meme, ripensandoci oggi.
Probabilmente oggi non abbiamo neppure idea del vero impatto che queste decisioni avranno su Xbox. Lo sviluppo della console next-gen continuerà, come è già stato confermato, ma chissà cosa accadrà. Le cose, in Xbox, non sono più sicuramente rose e fiori com’erano fino a qualche tempo fa – o come ci veniva raccontato. Basti pensare che Turn 10, il team dietro Forza Motorsport, è stato sostanzialmente dimezzato in quanto forza lavoro.
Così come nel calcio, Microsoft ha imparato una lezione non da poco: comprare tutto non significa vincere. Specie se la tua intenzione è guadagnare di tutto e di più in poco tempo.
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