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10 videogiochi che hanno stravolto la narrativa videoludica

Esistono titoli che hanno fatto del gameplay un nuovo tipo di linguaggio, il quale si discosta da qualsiasi altra forma d’arte. Alcuni autori di videogiochi, verso la fine degli anni 90, hanno preferito accostarsi al cinema, dirigendo i propri lavori esattamente come lo si farebbe con un film.

Negli anni a venire il linguaggio videoludico si è evoluto, soprattutto grazie all’influenza di alcuni game designer, i quali hanno visto nel gameplay un nuovo modo di narrare particolari tipi di storie, esclusivamente attraverso l’osservazione del giocatore. In questo modo sarà egli stesso a ricostruire i frammenti della trama e di tutti gli accadimenti, invece che venir narrati passivamente per mezzo della scrittura di una precisa sceneggiatura. Nel corso degli anni altri tipi di storie hanno visto nel videogioco un nuovo modo di emozionare e sensibilizzare il pubblico, grazie al fattore dell’interazione e del libero arbitrio.

Di seguito troveremo i 10 più significativi videogiochi che sono riusciti ad evolvere e a valorizzare la narrazione videoludica negli ultimi decenni, i quali dimostrano, ancora oggi, come alcune storie riescano meglio a raccontarsi per mezzo del gameplay.

The Secret of Monkey Island

Nel 1990, grazie al successo di alcuni titoli che hanno decretato il successo del genere, uscì The Secret of Monkey Island, l’avventura grafica prodotta dalla cara e vecchia LucasArts. Si tratta di uno dei primi veri e propri successi “punta e clicca” della storia, che successivamente generò numerosi sequel e saghe ad esso ispirate. Il titolo appartiene ad un genere che ha visto la sua evoluzione intorno agli anni ottanta con l’avvento delle nuove tecnologie, le quali permettevano alle classiche avventure testuali di caricare immagini durante il gioco.

Il titolo, diretto da Ron Gilbert, portò alla ribalta un certo modo di fare narrazione nei videogiochi, che si distinse da tutti i suoi predecessori. Il game designer affinò questo tipo di linguaggio e ideò una storia coinvolgente e appassionante, anche mediante la scrittura di una buona sceneggiatura. Si attinse, quindi, dal modo di fare cinema, che negli anni a seguire avrebbe influenzato molte altre saghe. Ciò che la narrazione videoludica avrebbe garantito ai giocatori da lì in poi è che, rispetto alla settima arte, essi avrebbero avuto la possibilità di decidere il corso della storia grazie alle azioni scelte durante il corso della trama.

Final Fantasy VI

Il sesto capitolo della saga creata da Hironobu Sakaguchi, da lui ora solamente prodotto, è ricordato ancora oggi come uno dei migliori capitoli, il quale si distinse non solo per il gameplay e per la grafica in pixel art ormai perfezionata come mai prima d’ora, ma anche per l’eccellente qualità della trama. Questa volta il focus non era incentrato su regni in pericolo e principesse da salvare, bensì su alcuni temi mai affrontati prima in un Final Fantasy e in nessun videogioco in generale prima del 1994.

La complessità dei personaggi, la maturità e la concretezza della trama conferirono al titolo il riconoscimento di uno dei videogiochi migliori di sempre, il quale avrebbe in futuro influenzato moltissimi altri titoli e game designer. Tematiche come il dramma dell‘esistenzialismo, il suicidio e altri problemi legati alla sfera dell’animo umano, vennero introdotti all’interno del gioco, in un momento in cui il pensiero generale dei consumatori era ancora lontano dall’associare tali caratteristiche ad un videogioco. Non vi è nessun dubbio che da Final Fantasy VI in poi, sia la caratterizzazione dei personaggi che la stesura della trama all’interno dei videogiochi, subirono un’evoluzione che li consacrò come nuovi veicoli di storie originali e ben scritte.

Half-Life

Definirlo semplicemente come un videogioco sparatutto risulterebbe riduttivo. Nel 1998 la saga di Half-Life ispirò moltissimi game designer nella creazione dei propri giochi, appartenenti a qualsiasi genere, sia considerando il profilo del comparto grafico e tecnico che quello narrativo.

Il titolo, per la prima volta, non solo vantava una IA dei nemici molto avanzata per gli standard dell’epoca, ma cercava di immergere il giocatore all’interno di una trama senza l’uso di filmati, la quale si dipanava esclusivamente durante le diverse fasi di gioco. Gordon Freeman, l’iconico protagonista della saga, si incollava perfettamente al modo di giocare di chiunque, poiché egli non agiva mai di sua spontanea volontà, ma rimaneva costantemente sotto il controllo del giocatore, aumentando così l’immersività.

Il gioco, quindi, si ben adattava sia per chi preferiva un approccio più legato al gameplay puro che in quelli più decisi a studiare ogni particolare, dalla mappa ai dialoghi, al fine di capire ogni aspetto della narrativa ambientale. Stava al giocatore cercare di snodare gli intrecci, passati e presenti, delle vicende che ruotavano attorno al Dr. Freeman: dalla struttura di ricerca di Black Mesa alla mappa presente in Half-Life 2: City 17. Tali caratteristiche, ancora oggi, fanno del videogioco la sua peculiare potenza narrativa.

ICO

Quasi ogni game designer sostiene di essersi ispirato ad Ico per realizzare i propri giochi, come anche lo stesso autore, Fumito Ueda, con il suo Shadow of The Colossus, soprattutto per quanto riguarda il profilo dell’immersività e delle atmosfere. Nei primi anni duemila, Ueda, volle creare un videogioco che si distanziava dalle tendenze dei soliti titoli d’azione, ponendo al centro del focus e del gameplay il racconto di una semplice storia. Nel 2002, con Ico uscito per la nuova PlayStation 2, i giocatori si ritrovarono davanti ad una vera e propria opera d’arte.

Un nuovo tipo di realismo pervadeva le menti di tutti, il quale fu accompagnato da un immaginario quasi verosimile, che riusciva ad immergere il giocatore all’interno di quel mondo fantastico, grazie alle bellissime atmosfere che regalava ogni scenario di gioco. L’assenza di colonna sonora, dell’interfaccia di gioco e di lunghi dialoghi, catapultavano il giocatore direttamente a fianco dei protagonisti Ico e Yorda, in fuga dalla fortezza che li teneva prigionieri.

La narrazione era silenziosa e avveniva tramite le sensazioni, emozioni ed impressioni che il giocatore riusciva a provare durante l’esplorazione e le azioni di gioco (similmente a com’era già accaduto qualche anno prima con la narrativa di Half-Life). La storia si snodava, dunque, con l’osservazione del mondo di gioco, condita con simbologie ed allegorie, le quali restituivano ai giocatori una più personale ed intima interpretazione delle vicende, esattamente come accade come quando si ha di fronte un magnifico dipinto.

Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty

Ogni fan della saga, nel 2001, fremeva dalla la voglia di impersonare di nuovo Solid Snake proprio come anticipavano i trailer di lancio; ma ciò avvenne solo in parte. Raiden, il nuovo protagonista, non aveva niente a che fare con l’esperienza e l’intelligenza di Snake, neanche per quanto riguarda l’aspetto fisico, più androgino e meno mascolino. Ma questo era ciò che rientrava nei piani dell’autore.

Non sarebbe errato affermare che in Metal Gear Solid 2 si nasconde uno dei momenti più iconici della storia dei videogiochi, se non di tutti i media audiovisivi. Censura, digitalizzazione, l’avvento di internet e delle I.A. sono solo alcuni dei fenomeni profetizzati da Kojima. Il gioco porta avanti una narrazione affascinante e innovativa che rompe più volte la quarta parete, coinvolgendo il giocatore ai fatti accaduti all’interno del titolo.

In effetti sarà proprio lui a controllare il protagonista, finché quest’ultimo non deciderà di liberarsene, così da riprendere in mano la sua vita in una delle scene che hanno fatto la storia del medium. Il tutto era stato orchestrato minuziosamente dall’autore affinché il giocatore distinguesse la finzione dalla realtà una volta squarciato il velo di Maya. La trama, l’identità del protagonista, le intenzioni dei villain, e persino i trailer del gioco, ruotavano tutte attorno al tema dell’inganno da parte dei media digitali moderni, come anche il videogioco stesso. Un vero e proprio capolavoro.

Silent Hill

Il Team Silent di Konami, a inizio anni 2000, intendeva creare un videogioco story driven che si discostava dalla formula classica del survival horror d’azione. Anche se adesso risulta molto difficile divertirsi con un gioco così datato nei comandi, anche all’epoca, il divertimento, non era il fattore principale che consacrò Silent Hill nell’olimpo dei videogiochi horror.

Prima di tutto era necessario che il giocatore si immedesimasse nell’ambiente di gioco sotto il punto di vista del protagonista, ignaro di cosa stesse accadendo intorno a lui, cosicché riuscisse a provare un certo senso di smarrimento e angoscia. Dopodiché sarebbe insorto l’orrore psicologico, il quale viene a generarsi più dal non visto che da ciò che realmente lo circonda.

Qualsiasi elemento di gioco era al servizio della trama, affinché l’esperienza divenisse più tangibile e concreta possibile. Poiché le musiche di sottofondo erano il più delle volte assenti, era possibile udire ogni rumore di fondo: dai passi del giocatore ai vari, e poco rassicuranti, tonfi e grugniti in ogni parte della mappa. Il gioco proponeva tematiche dai toni molto maturi, totalmente fuori scala dal panorama videoludico attuale, il quale permise la creazione di alcuni personaggi divenuti celebri e influenti per la loro complessità e caratterizzazione, come Harry Mason, James Sunderland e Pyramid Head.

Fallout 3

Nel 2008 Bethesda pubblica Fallout 3 e niente sarà più lo stesso. il giocatore viene trascinato all’interno di un open world post-apocalittico, duecento anni dopo la guerra nucleare che trasformò la Terra in un unica e grande zona contaminata. Uno di quei titoli dove le nostre scelte decidono il corso della storia, come anche in tanti altri videogiochi. Ma Fallout 3 ha sempre avuto qualcosa in più, non solo per la bellezza della trama, della sua etica e del suo iconico immaginario post bellico anni cinquanta, ma anche per come vengono a snodarsi le vicende di gioco.

Ciò che riesce a distinguere la narrazione di questo videogioco dal resto delle produzioni attuali è la mancanza di controllo di tutti gli svolgimenti narrativi, sia per la main quest che per tutte le missioni opzionali. Fin dall’inizio il giocatore si ritrova in un mondo dinamico, morto, ma vivo più che mai, pieno di npc con una loro volontà, i quali agiscono anche fuori dal nostro raggio d’azione. Non è raro trovare accampamenti ormai saccheggiati dai predoni prima ancora di averli esplorati, i quali avrebbero dato l’occasione al giocatore di sbloccare dialoghi e nuove missioni.

Inoltre, è possibile imbattersi in campi di battaglia ancora accesi e schierarci con l’una o l’altra fazione per il controllo di una determinata area, così da creare nuove alleanze che determineranno il corso della trama. Tutto questo arricchisce non solo la narrazione di base, ma tenta di comunicare al giocatore come quel mondo ormai sia diventato, vivendolo in prima persona, senza limitarsi a raccontarlo per mezzo di descrizioni o lunghe spiegazioni.

Dark Souls

Se dovessimo raccogliere tutte le innovazioni narrative ed includerle all’interno di un unico videogioco, questo non potrebbe essere altro che Dark Souls. L’opera magna del maestro Hidetaka Miyazaki che dal 2011 appassiona i videogiocatori di tutto il mondo, affascinati dal gameplay (che presto sarebbe riconosciuto come souls-like) e dal modo in cui è posta la trama.

La narrazione è frammentata e sta al giocatore creare la sua storia mediante le sue azioni, cercando anche di riunirne i pezzi, sia di eventi passati che presenti e futuri. Il tutto grazie alla potenza della narrazione ambientale, delle numerose descrizioni di oggetti e delle varie linee di dialogo. L’autore è riuscito a creare uno stile narrativo che ogni altro media può solo invidiare, poiché strettamente connesso al gameplay. Stiamo parlando della creazione di un nuovo linguaggio, il quale fonde storia e gioco, che ha dato vita a qualcosa di nuovo, mai visto prima.

Il nostro personaggio, ad esempio, essendo un non morto può resuscitare dopo ogni morte; salire di livello è una capacità che ogni non morto riesce a fare se consuma un determinato numero di anime raccolte davanti ad un falò; i giocatori possono collaborare con altri in tempo reale poiché il tempo e lo spazio, in Dark Souls, è distorto e stagnante. Viene giustificato, altresì, il potenziamento del terminale di gioco, ovvero il falò, grazie al consumo di un determinato oggetto, utile al gameplay quanto allo svisceramento di determinate vicende e sul come questo risulti effettivamente possibile.

Journey

I videogiochi indie, negli ultimi anni, svettano per inventiva molto più dei AAA e Journey, nel 2012, ne è stata una dimostrazione. Abbiamo avuto diversi esempi di studi che si sono fatti un nome grazie allo sviluppo di titoli indipendenti, soprattutto nell’ultimo decennio.

Il minimalismo di Journey contribuisce a rafforzare l’espressione “less is more”, poiché caratterizzato da un gameplay molto semplice, con una durata di una manciata di ore e senza nessun tipo di dialogo o messaggi scritti. La forza del videogioco sta proprio qui: la trama e la lore si sciolgono esclusivamente attraverso l’avventura e l’esperienza diretta del giocatore con l’ambiente di gioco, un po’ come nei videogiochi precedentemente elencati. Ma la forza di Journey sta proprio nell’ammissione di non essere un titolo con un alto budget, riuscendo ugualmente a trasmettere quelle emozioni che solo i titoli con questa impronta narrativa riescono a fare.

Proprio a causa di questo minimalismo, il videogioco cerca di essere compreso solo dopo qualche run in più rispetto a quella blind, così da incrementare le ore di gioco utili a capire tutti i segreti e i misteri dell’affascinante mondo creato da Thatgamecompany. Un limite che alla fine si è dimostrato essenziale, affinché venisse dato alla luce uno stile narrativo prettamente legato al gameplay.

The Last of Us: Parte 2

Nell’estate 2020 Naughy Dog pubblica The Last of Us: Parte 2, indubbiamente uno dei migliori titoli sviluppati dalla compagnia statunitense. Non solo fu migliorato il gameplay e il level design, reso adesso più divertente e accattivante, ma anche il comparto narrativo. All’interno di questa lista il titolo in questione parrebbe cozzare con il resto: e se vi dicessi che la storia di The Last of Us Parte 2 tratta una di quei tipi di trame più in linea con la narrativa videoludica?

Questa volta non parliamo narrativa ambientale, ma esclusivamente di immedesimazione, un’altra delle principali caratteristiche del media videoludico. Quando il gioco mette in campo due protagoniste le quali cercano di uccidersi a vicenda, per chi tiferemmo la vittoria? Diversamente dal cinema e dalla televisione, i quali regalano un’esperienza molto più passiva con lo spettatore, il videogioco ci chiama ad impersonare entrambe le protagoniste, facendoci vivere emozioni contrastanti sull’etica delle loro azioni. Ciò che seguirà potrà sembrare contorto, ma si tratta proprio di quello che vivremmo all’interno di questo gioco.

Immaginate di impersonare una di loro: di certo far fuori un nemico della fazione avversaria risulterà soddisfacente; ma se quello stesso nemico, una volta impersonata la seconda protagonista sua avversaria, si rivela essere un compagno che abbiamo imparato a conoscere e ad amare, quanto risulterebbe assurdo, in seguito, prendere consapevolezza che saremmo proprio noi ad ucciderlo? La sensibilizzazione del giocatore gioca un ruolo cruciale all’interno di questi avvenimenti, utili al fine di farci comprendere più intimamente il messaggio dell’autore sulla relatività fra il bene e il male.

Scritto da
Gianluca Di Pietrantonio

Cresciuto a pane e videogiochi, ho sentito di dover fare questa passione uno studio approfondito sul profilo della sua potenza comunicativa e narrativa. A volte può capitare anche di giocare solo per divertirmi.

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