Home Cinema Serie TV [RECENSIONE] Suburra 3 – Cala il sipario sui re di Roma

[RECENSIONE] Suburra 3 – Cala il sipario sui re di Roma

Dopo aver terminato le 6 puntate che costituiscono la terza e conclusiva stagione della serie Netflix Suburra, i sentimenti che ci si ritrova ad affrontare sono molteplici e decisamente in conflitto: c’è l’euforia, provocata da un racconto serrato, che corre a perdifiato, c’è la tristezza e lo sgomento per le sorti di alcuni personaggi, c’è la commozione per le tematiche affrontate, c’è soddisfazione per una sceneggiatura completa, coerente, fedele a se stessa e alle sue origini.

Ma andiamo con ordine.

Le vicende narrate nel corso delle tre stagioni sono ispirate dall’omonimo film del 2015 di Stefano Sollima, che è a sua volta tratto dal romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo. La serie Netflix è invece ad opera di Daniele Cesarano e Barbara Petronio: disponibile sulla piattaforma di streaming dal 30 ottobre 2020, è in testa alla classifica dei contenuti più visti in Italia. Come è giusto che sia.

La storia dell’antieroe Aureliano Adami (Alessandro Borghi) si conclude con sei episodi di pura adrenalina, che non lasciano spazio per fermarsi e metabolizzare. Suburra 3 dimostra così di essere il perfetto esempio del “less is more”: non servono venti episodi per raccontare efficacemente una storia, anzi. il ritmo della narrazione non perde mai colpi, tiene ancorati al racconto tanto che, giunti alla fine, quasi si ha l’impressione di aver visto un paio d’ore di film e non sei episodi da circa 45 minuti l’uno. I personaggi si incastrano, si legano e si allontanano, si scontrano, si ingarbugliano continuamente, tra sparatorie, legami ripristinati e spezzati, inganni, nefandezze. Il rincorrersi è continuo, anche lo spettatore percepisce che il tempo è tiranno: il Giubileo è alle porte e il tempo sta per scadere. Qualcuno deve necessariamente salire sul trono di Roma per governarla, prendere in mano le redini del gioco e finalmente regnare indisturbato. Difficile intuire su quale testa si poserà la corona, ed è proprio questo che rende il tutto ancora più sorprendente: il potere passa di mano in mano, senza che nessuno mai riesca a stabilire un equilibrio abbastanza duraturo per sentirsi in salvo. Mentre vite si spezzano e altre si legano, Roma resta il maestoso e freddo palcoscenico per quella che diventa, ora dopo ora, una vera e propria tragedia Shakespeariana.

Chiesa, politica, criminalità: tutti sono corrotti e le precedenti stagioni ce l’hanno ampiamente insegnato. Nessuno si salva, perché nel vortice della violenza anche le migliori intenzioni si macchiano di sangue e polvere. I personaggi sono pochi ma tutti incredibilmente ben caratterizzati. C’è crescita, c’è evoluzione, ma niente che non si possa ricondurre all’identità originale dei protagonisti, che riescono sempre a rimanere fedeli a sé stessi e anzi, esprimono con estrema limpidezza la loro vera natura proprio in questa terza stagione.

Aureliano (Borghi) e Spadino (Giacomo Ferrara) mettono in scena un rapporto che va oltre qualsiasi legame inquadrabile convenzionalmente: sono anime affini, due fratelli, due innamorati, due facce opposte della stessa medaglia. Grazie a Spadino, Aureliano mantiene la sua umanità, che altrimenti andrebbe persa nel dolore e nella violenza. Lo zingaro a sua volta trova la forza di diventare adulto e di avere coraggio proprio perché ha vicino Aureliano, che di fatto si rivela essere la sua ragione di vita e il suo motivo per lottare. Senza perdersi in eccessivi spoiler, come dimenticare la scena della “tortura” a casa di Amedeo Cinaglia o la scena della “festa”? Questi due momenti narrativi rappresentano, di fatto, il picco più alto della relazione tra i due personaggi, che si esprime in libertà e nella sua compiutezza.

Ma c’è un’altra coppia di personaggi che ha caratterizzato questa terza stagione e che ha sorpreso in positivo, trasmettendo un messaggio potente, moderno, da tenere sempre sott’occhio: l’alleanza tra donne può scatenare un potere immenso. Nadia, la compagna di Aureliano, e Angelica, la moglie di Spadino, da nemiche si ritrovano a condividere il lavoro, i dispiaceri, le difficoltà di un mondo crudele, che non lascia liberi gli uomini figuriamoci le donne. Le due ragazze riescono invece ad emanciparsi con la loro arguzia, uniscono le forze e diventano l’elemento capace di far pendere l’ago della bilancia. La loro è una storia di istinti, di lotta per la sopravvivenza e per ottenere un ruolo nella società. Alla fine le due ragazze si dimostrano all’altezza e non sono solo un sostegno per i loro uomini, ma riescono a tratti a superarli.

Le storie legate alla gravidanza di Angelica e all’amore di Nadia per Aureliano sono raccontate con una dolcezza che quasi stona con le tematiche meschine tipiche di Suburra, e che quindi commuove profondamente: è realistico il dolore, ma è altrettanto realistico l’amore. Inoltre c’è un’altra mosca bianca in tutta questa vicenda, ed è rappresentata da Alice (Rosa Diletta Rossi), la seconda moglie di Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro) e madre dei suoi due figli. Scoperta la corruzione del marito e i suoi loschi affari, la donna fugge in un convento insieme ai bambini. Fuori da Roma cerca la pace e la ritrova nella preghiera, anche se il male è difficile da seminare e ha braccia lunghe e passo veloce. Anche la sua triste vicenda è comunque un fiore all’occhiello della sceneggiatura, che la dipinge prima come eroina a difesa dei figli e della purezza d’animo, e poi come martire innocente, preda di un mondo che non lascia scampo neanche a chi ha buone intenzioni.

Di contro, Amedeo Cinaglia si conferma essere uno tra gli individui più subdoli, viscidi e disgustosi che esista sulla faccia della terra: personaggio riuscito, perché è proprio così che doveva essere. Il fratello maggiore di Spadino invece, Manfredi, torna in tutto il suo doppiogiochismo, più in forma che mai dopo il coma. Il boss degli zingari è interpretato da uno straordinario Adamo Dionisi, che riesce a rendere il suo sguardo, la sua andatura e i suoi tic di una malvagità e di una credibilità inaudite. Chapeau.

La terza stagione si prende diverse libertà, svincolandosi dal film originale. Le maggiori incertezze risiedono nel liquidare troppo rapidamente alcuni personaggi iconici, (Sara e Samurai, nonostante quest’ultimo abbia un’uscita di scena a dir poco dignitosa e teatrale) e in alcuni passaggi non proprio credibilissimi in quanto a logistiche e tempi. Alcune meccaniche che portano avanti l’azione sono a volte un po’ ridondanti e già viste, ma si tratta di piccole sbavature che non compromettono l’altissimo livello di intrattenimento e di immedesimazione.

Suburra 3 è la perfetta chiusura di un cerchio narrativo decadente, che rappresenta una discesa negli inferi delle passioni umane degna di Amleto. Roma è sempre stata spietata e lo è ancor più in questo atto conclusivo, ma è proprio così che noi ce la aspettavamo, per gioire, gridare e piangere insieme ai protagonisti. Nella sua violenza, Suburra rimane una storia profondamente umana, cattiva ma realistica. Fa molto strano pensare che sia conclusa, perché il finale risulta in realtà più aperto del previsto. I fan stanno già chiedendo a gran voce degli spin-off dedicati ai personaggi, chissà che Netflix non li accontenti, prima o poi. Cali dunque il sipario, almeno per ora.

Scritto da
Chiara Ferrè

Ciao, sono Chiara. Cresciuta a pane, Harry Potter e Final Fantasy, ho da sempre una grande passione per la narrazione in tutte le sue forme. Cerco campi di battaglia, magici cappelli, lucertoloni volanti. Ho una penna e non ho paura di usarla.

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