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Squid Game: parliamo della serie TV “Made in Korea” diventata virale

Se bazzicate un po’ il mondo dell’intrattenimento sudcoreano (o se avete semplicemente contatti sui social interessati a serie TV e Netflix), sicuramente vi sarete imbattuti in questo titolo negli ultimi giorni: Squid Game, la serie TV “Made in Korea” scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk, è ormai il fenomeno del momento. Diventata virale a pochi giorni dalla sua uscita il 17 settembre, si appresta a spodestare Bridgerton tra i contenuti più cliccati dell’iconica piattaforma di streaming.

Ma cos’è Squid Game e da dove deriva il suo successo? È semplicemente frutto della ormai inarrestabile “Korean Wave” che tra musica (BTS, Blackpink & Co), film (Parasite) e serie TV (Vincenzo) ha coinvolto tutti, oppure nasconde qualcosa in più?

Di certo, vi anticipiamo che per gli amanti del genere thriller/survival game si tratta di un prodotto da non lasciarvi sfuggire.

Andiamo quindi ad esaminarla nel dettaglio per capire l’origine di questa viralità, tra debolezze e punti di forza.

Leggete senza paura! Questo articolo non contiene spoiler di trama.

“Voglio fare un gioco con te”: Squid Game, la trama

Immaginatevi i giochi che si facevano da bambini negli anni ‘80/’90. “Un, due tre stella”, le piste con le biglie, tiro alla fune, quel genere di cose. Divertenti no?

Ecco, ora immaginateveli fatti da un gruppo di 456 adulti sull’orlo della disperazione. Già è diventato inquietante.

Ora immaginatevi che i giocatori perdenti muoiano miserabilmente. Non fa più ridere eh?

Questa è, ridotta all’osso, l’idea che sta dietro a Squid Game, la serie TV Netflix che arriva dopo gli interessanti esperimenti di Alice in Borderland e Sweet Home. Il filone è sempre lo stesso che accomuna tante diverse opere come Battle Royale e Hunger Games: un gruppo di persone si sfida in giochi perversi per salvarsi dalle morti più atroci. In questo caso i combattenti/giocatori sono persone oppresse dai debiti, ai quali viene offerto un montepremi in denaro decisamente difficile da rifiutare. Ma quanto si è disposti a rischiare per i soldi?

I partecipanti ai giochi, come dicevamo, sono 456 ma di fatto i protagonisti si riducono ad una dozzina di personaggi principali che contribuiscono a cambiare il corso degli eventi. Di loro conosceremo la personalità, il background, pregi e difetti grazie soprattutto ai primi 4/5 episodi.

Agli sventurati partecipanti ai giochi si contrappongono invece degli inquietanti figuri senza volto, contrassegnati da maschere con quadrato, cerchio o triangolo. Sono i sorveglianti nonché direttori dei giochi, capitanati da una maschera nera e dai cosiddetti “VIP”.  Tra fredde esecuzioni, alleanze tra giocatori e tradimenti, un pizzico di traffico d’organi e una spruzzata di amare lacrime, Squid Game si articola in 9 episodi da circa un’ora tutti da gustare (meglio a stomaco vuoto, se siete particolarmente impressionabili).

“Un, due tre… stella!”: Squid Game, cosa non ci convince

Ora che conosciamo la trama a grandissime linee, partiamo dai punti deboli per poi comprendere invece le ragioni di tutta questa popolarità che ha travolto la serie TV (è già in testa nella top10 di Netflix).

La carta vincente di questo genere è la spettacolarità delle morti: inutile che vi nascondiate, sappiamo che volete vedere il sangue. In questo, Squid Game si comporta con più classe rispetto ad altri esponenti del genere. A parte qualche accoltellamento piuttosto crudo e un cervello esposto, i giocatori muoiono spesso grazie a un colpo di pistola o poco più. Ciò che davvero rende Squid Game interessante sono infatti i protagonisti e come scelgono di barcamenarsi nelle diverse sfide che gli vengono proposte, alleandosi, tradendosi, cambiando idea e morale durante lo svolgimento degli stessi.

La serie TV soffre di un ritmo molto lento nella sua prima metà, che potrebbe far desistere lo spettatore dal proseguire. Capiamo che prendersi il proprio tempo è utile per far comprendere la psicologia dei personaggi e il loro background, ma in questo particolare genere ci si aspetta di venire subito catapultati dentro l’azione, cosa che in Squid Game sicuramente non succede. I primi giochi si susseguono lenti, con un ritmo tutt’altro che serrato e intervallati da troppe scene superflue che si occupano di mostrare più che altro il protagonista e i suoi problemi (la ex moglie, il rapporto difficile con la figlia, la madre malata, i debiti). Insomma, la serie sarebbe potuta durare 2/3 episodi in meno e il ritmo ne avrebbe sicuramente giovato, senza che lo spettatore rimanesse privo di informazioni fondamentali per comprendere la natura dei personaggi.

Nonostante diverse trovate accattivanti e un paio di giochi iconici, il concept di base rimane sempre lo stesso e non mostra nulla di particolarmente innovativo in quanto ad intreccio, soprattutto per chi è avvezzo al genere.

Non faremo spoiler, ma anche il finale ci è sembrato piuttosto prevedibile e fin troppo aperto, con alcune linee narrative e interrogativi rimasti tatticamente in sospeso, in attesa di un’ipotetica seconda stagione.

Ma allora, nonostante queste problematiche, come ha fatto Squid Game a diventare così popolare?

Maledetto calamaro: Squid Game, i motivi del successo

Visivamente, Squid Game se la gioca davvero bene e lo si intuisce già dalle immagini promozionali attentamente studiate, che mettono in contrasto il completo verde dei giocatori alle tute rosse degli uomini mascherati che dirigono i giochi. L’edificio nel quale si svolgono le vicende è caratterizzato da un ampio dormitorio con letti a castello, mentre da un’arena all’altra ci si muove attraverso un intricato e claustrofobico labirinto di porte colorate: qualcosa che ci ricorda vagamente la serenità dell’asilo nido viene bruscamente macchiata dalla realtà dei giochi di morte. Il mix è potente, così come lo è in particolare l’ultimo episodio, dove lacrime, sangue e pioggia si mischiano, così come per tutta la serie si sono mischiate le paure, le buone intenzioni e le cattiverie dei protagonisti.

I motivetti ricorrenti rimangono in testa, così come la semplice barbarità di alcuni giochi, che ha già fatto partire una lunga serie di meme e di esperimenti divertenti su TikTok e sugli altri social. Gli abbigliamenti, semplici ma iconici, non sono difficili da riprodurre, e forse vi sarete già imbattuti in qualche simpatico cosplayer.

Di sicuro Squid Game è una serie divertente da vedere in compagnia, per discuterne poi con gli amici e scommettere sul giocatore più promettente: ed è proprio qui la genialità che più ci ha colpiti, che (purtroppo) si mostra evidente solo dalle battute finali della serie. I “VIP”, personaggi mascherati che traggono piacere nel seguire i giochi, sono la perfetta rappresentazione di noi spettatori, seduti in poltrona con gli amici e un bel pacco di patatine a goderci lo spettacolo.

Come spiegavamo poco fa, una volta superata la prima metà la serie decolla con episodi che sicuramente fanno discutere, fanno arrabbiare, fanno restare col fiato sospeso e a volte anche commuovere. Quanto vale una vita? Cosa siamo disposti a fare pur di sopravvivere? Risolvere i propri problemi ma vivere con delle colpe inenarrabili sulla coscienza, ne vale la pena? Questi sono gli interrogativi che inevitabilmente si pongono personaggi e spettatori durante i giochi.

Tutto questo ha sicuramente contribuito alla viralità della serie, che però, secondo noi, è decollata anche grazie ad un cast intrigante di attori capaci e già conosciuti. Abbiamo ad esempio Gong Yoo, protagonista del film Train to Busan, e Wi Ha Joon (18 Again, Romance is a Bonus Book). Il protagonista qui è Lee Jung-jae, che ha interpretato il giocatore numero 456 con maestria e naturalezza, mettendo in scena un personaggio molto credibile e mai eccessivo. Al suo fianco c’è l’amico d’infanzia (numero 218) interpretato da Park Hae-soo, al quale si aggiunge la giovane HoYeon Jung, apprezzatissima sia dal pubblico femminile che da quello maschile per la sua bellezza e per la forza del personaggio che rappresenta.

In conclusione, Squid Game è un progetto non esente da difetti ma che sicuramente è riuscito a far breccia nell’interesse del web e degli appassionati sia del genere che del mondo dell’intrattenimento sudcoreano, un terreno sempre più fertile sul quale Netflix continuerà a puntare anche nel prossimo anno, con l’aggiunta di volti famosi dell’industria e di altri drama “Made in Korea”. Si tratta di un prodotto intelligente, che non punta a strafare ma che lascia aperti ampi orizzonti per un possibile seguito. Il pregio di Squid Game non sta tanto nell’idea di base o nell’originalità, quanto nel modo in cui riesce a rappresentare le vicende, rendendole appetibili anche per un pubblico non avvezzo al genere (ed è anche da qui che deriva il grande successo).

Siamo davanti all’ennesima dimostrazione che, quando si parla di intrattenimento, i sudcoreani ci sanno fare. Il gioco, alla fine, vale la candela.

Scritto da
Chiara Ferrè

Ciao, sono Chiara. Cresciuta a pane, Harry Potter e Final Fantasy, ho da sempre una grande passione per la narrazione in tutte le sue forme. Cerco campi di battaglia, magici cappelli, lucertoloni volanti. Ho una penna e non ho paura di usarla.

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