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[Recensione] Mario + Rabbids: Sparks of Hope

Ricordo ancora quei primi mesi del 2017, quando Nintendo era sul punto di lanciare la sua Switch in tutto il mondo. L’oscuro mondo dei leak venne invaso da una nuova voce di corridoio, un’indiscrezione che parlava di una tanto bizzarra quanto curiosa collaborazione tra la grande N e Ubisoft, che di leak in effetti se ne intende. Una voce, dicevamo, secondo cui il mondo di Super Mario si sarebbe incrociato con quello dei Rabbids, costola del franchise di Rayman, creando un inedito gioco di combattimenti a turni.

Nessuno ci poteva, o voleva, credere. Mario e i Rabbids, insieme, in un videogioco di combattimenti… con le armi? Nintendo ha già permesso al baffuto idraulico di combattere a mani nude, ma mettergli in mano armi da fuoco è tutt’altro discorso. In più, cosa c’entravano i Rabbids? Quale inspiegabile sotterfugio poteva celarsi alla base di questo concept, inedito per entrambe le serie?

Il risultato lo conosciamo molto bene: parliamo ovviamente di quel Kingdom Battle che, nel 2017, si rivelò essere non solo la riconferma del fatto che da casa Ubisoft tutto, o quasi, viene trapelato in anticipo (avete letto del nuovo sparatutto Project U?), ma anche che la formula, incredibilmente, funzionava. E così, cinque anni dopo il primo successo planetario di Ubisoft Milano, divisione nostrana del colosso francese che ha ideato, proposto e sviluppato la nuova IP, il team guidato da Davide Soliani torna alla carica con Sparks of Hope, sequel, anche se detto così pare riduttivo vista la mole di novità, del già citato Kingdom Battle. Più grande, più completo, più ambizioso. Partiamo quindi con la nostra recensione, destinazione: l’universo.

Versione provata: Switch.

SPAZIO, ULTIMA FRONTIERA

L’incipit narrativo di Sparks of Hope, così come per Kingdom Battle e per praticamente tutti i giochi di Mario, è abbastanza semplice, ma sufficiente a dare il via agli eventi. Gli abitanti del Regno dei Funghi e i Rabbids ormai vivono in armonia, dopo che lo scontro “multiversale” tra le varie realtà ha portato i pestiferi conigli a immergersi in questo mondo. Le minacce, però, sono sempre dietro l’angolo, ed ecco quindi che una tranquilla giornata per Mario, Peach, Luigi e i Rabbids si trasforma nell’inizio di una nuova missione. La misteriosa entità di nome Cursa, arrivata da un luogo sconosciuto, minaccia non solo il Mushroom Kingdom ma l’intera galassia, ora che i Rabbids hanno creato una nuova bizzarra forma di vita fondendosi con gli Sfavillotti, i potenti Spark. In qualche modo, Cursa intende sfruttare i poteri degli Spark, e da qui inizia una nuova avventura per Mario e i suoi amici che partono a bordo di un’astronave in cerca di Rosalinda, guidati dal sempre presente Beep-0 e della nuova IA Jeanie.

Ovviamente l’arrivo di Cursa, che riserva anche qualche colpo di scena nel corso della storia, non è altro che un pretesto per mettere in movimento la ciurma, che questa volta non si limita a esplorare il Regno dei Funghi ma parte per pianeti mai visti prima. Qualcosa di simile era accaduto con il fenomenale Super Mario Galaxy per Wii, da cui Sparks of Hope riprende anche alcuni personaggi, ma stavolta l’approccio è differente. Con la maggior libertà creativa che è stata concessa al team, cosa di cui ha parlato in più occasioni anche il director Soliani, gli sviluppatori sono stati in grado di dare maggiore profondità alla narrazione, arricchendola di dettagli e dialoghi che coinvolgono non solo Beep-0 ma anche Mario e tutti gli altri personaggi, Rabbids compresi.

In effetti sono proprio i Rabbids, a conti fatti, a conferire la scorrevolezza narrativa al titolo. Se Mario, Peach e gli altri personaggi made in Nintendo sono le classiche icone che ben conosciamo, alle quali a un certo punto della storia si unirà anche la nemesi Bowser nel classico cliché “il nemico del mio nemico è mio amico”, i Rabbids vecchi e nuovi, ora che possono esprimersi, riescono a dare sfogo a tutto il loro carisma, rendendo ogni mondo un’esperienza tutta nuova anche grazie alla loro influenza. Le varie ambientazioni, che forse non brillano per originalità ma sono condite da una direzione artistica davvero sopraffina il cui livello si innalza mano a mano che avanza la storia, vengono arricchite da Rabbids autoctoni dalle tante sfaccettature: l’emulo di una divinità greca, un poeta malinconico, un cercatore di tesori, un appassionato di sfide, e così via dicendo. Ognuno di essi è perfettamente legato al proprio mondo, e sembra proprio che con questa mossa il team sia riuscito a trovare la giusta dimensione dei Rabbids, già esplorata, ma in minor proporzione, con il primo capitolo.

In questo senso, si rivela riuscita l’aggiunta di un inedito personaggio che presto si unisce al party di Mario, Edge, Rabbid misteriosa che ha un legame con gli Spark… che ovviamente non vi sveleremo. Quello che possiamo dirvi è che ogni personaggio è doppiato, almeno parzialmente: mentre i dialoghi di Beep-0 sono interamente parlati, quelli dei Rabbids si limitano a poche parole, lasciando ai box di testo il compito di completare il dialogo. Un peccato non aver avuto un doppiaggio completo, questo sì, ma è senza dubbio degno di nota l’aver conferito un maggior interesse alla storia, ben scritta e piacevole da seguire anche grazie alla splendida colonna sonora che, oltre al solito e fedelissimo Grant Kirkhope, accoglie altri due giganti del settore. Il primo è Gareth Coker, che ha lavorato a Halo e Immortals Fenyx Rising; la seconda è Yoko Shimomura, autrice di tutte le musiche di Kingdom Hearts e Final Fantasy XV. Il coinvolgimento dei due artisti porta nuova linfa ai suoni e alle tonalità di Sparks of Hope, esattamente come ci si poteva aspettare.

OPEN WORLD? EEEEH…

Passando al gioco vero e proprio, Sparks of Hope non si presenta come un semplice more of the same del suo predecessore, cosa che diventa ancor più evidente quando si parla del combat system – ne parleremo dopo. Mario e i suoi amici visitano come detto una serie di mondi nei quali l’obiettivo principale non è tanto quello di salvare gli Spark (ancora una volta, ne parleremo dopo), quanto invece fermare i tentacoli di Oscutiferio che stanno corrompendo questi pianeti e riuscire a raggiungere il luogo dove si trova Cursa, la grande minaccia. Una volta a terra, le ambientazioni non si rivelano essere banali corridoi da percorrere in un’unica direzione intervallati da qualche scontro, ma vere e proprio aree liberamente esplorabili, come se ci trovassimo di fronte a un open world.

Più che open world, a dire il vero, potremmo utilizzare il termine open map, probabilmente più corretto. Ogni mondo è organizzato infatti in varie regioni che possono essere esplorate, con i dovuti limiti – il party ad esempio non è in grado di saltare nelle fasi di esplorazione, cosa che costringe il giocatore a cercare altre strade per raggiungere un obiettivo. Queste fasi, in particolare, non sono solo un modo per raccogliere monete, utilissime per acquistare oggetti utili alla battaglia presso i rivenditori che si trovano in ogni pianeta, ma sono strutturate come un lungo puzzle ambientale per sbloccare vie e accessi che culmina, ovviamente, con gli scontri per distruggere i tentacoli di Oscutiferio.

In questo modo, l’esplorazione viene resa certamente interessante, utile al giocatore per imparare a destreggiarsi e comprendere l’ambiente (il level design migliora di pianeta in pianeta, come struttura e difficoltà, peccato solo per una mappa nel menù non proprio perfetta), ma fondamentale anche per espandere le possibilità. In Sparks of Hope sono state infatti incluse numerose missioni secondarie, che aumentano, e di parecchio, le ore di gioco. Si va da banali missioni che richiedono di superare una battaglia in particolare, a richieste particolari da parte dei Rabbids come indovinelli e sfide di velocità, senza dimenticare alcune challenge ispirate alla storia di Mario – sono presenti missioni secondarie legate alle classiche monete rosse, verdi e blu, chiaro omaggio alla storia del brand. Ne abbiamo scovati anche altri, e non tutti per forza legati a Mario, e alcune sono davvero delle chicche; ci piacerebbe ad esempio chiedere al buon Soliani se solo noi abbiamo intravisto un richiamo a Clockwork Kazooie…

Le più stimolanti, tra quelle presenti nei vari mondi (la struttura, in sostanza, si ripete per ogni ambientazione), sono a nostro avviso le battaglie “segrete”, che richiedono tentativi e allenamento extra, e le aree accessibili solo attraverso una particolare chiave, dove il party accede a una particolare sezione in tre dimensioni con un nuovo puzzle strutturato in maniera similare alle sezioni di Toad in Super Mario 3D World, poi riprese nello spin-off Captain Toad: Treasure Tracker. Sono senza dubbio piacevoli e simpatiche alternative, e anzi non vi nascondiamo di aver trascorso più tempo in un mondo, dopo la conclusione della sua storyline principale, per riuscire a completare quante più quest secondarie e accedere a tutti i segreti, tra i quali si nascondono anche alcuni simpaticissimi riferimenti al franchise di Mario – vi diremo solo una parola: pinguini.

Completando le missioni secondarie, il party ottiene inoltre le Monete del Pianeta, una delle due nuove valute (l’altra sono le Astroschegge, altro ritorno da Super Mario Galaxy) che vengono utilizzate presso i rivenditori di ogni mondo per acquistare oggetti speciali, comprese skin per le armi. Una grande novità di Sparks of Hope riguarda, a tal proposito, la gestione delle armi. Se in Kingdom Battle Mario e i suoi potevano trovare e acquistare armi migliori da utilizzare in battaglia, in questo secondo capitolo l’unica modifica possibile sarà quella estetica, con skin che non modificano le statistiche. Per quello, a onor del vero, si entra nel campo dell’altra grande novità del titolo, vale a dire il sistema di progressione legato a doppio filo con il combat system.

RINNOVAMENTO

Arriva ora il momento di discutere di quello che è il cambiamento più importante di Sparks of Hope. Lo abbiamo già detto in precedenza, e lo ribadiamo ancora una volta: questo secondo capitolo non è un semplice more of the same, ma anzi Ubisoft Milano si è superata migliorando e ampliando sensibilmente il sistema di combattimento delle battaglie, che presenta notevoli cambiamenti.

La struttura generale resta invariata: i personaggi principali, organizzati in team il cui numero è variabile a seconda della missione (in alcune secondarie, ad esempio, non potremo neppure scegliere chi far combattere, ma ci verrà assegnato d’ufficio), combattono contro i nemici con un sistema a turni, che predilige tattica e strategia. Ogni arma e ogni attacco di ciascun personaggio, che possiede abilità uniche, possiedono effetti differenti, e tutti gli elementi devono essere padroneggiati e utilizzati al fine di avere la meglio in battaglia, specie se giocata a livello di difficoltà elevata con nemici molto più aggressivi – e dannosi. Fin qui, tutto come prima, ma Sparks of Hope rompe le regole che si era precedentemente imposta e rimescola le carte in tavola.

A differenza di Kingdom Battle, dove il movimento dei personaggi era limitato a poche caselle, a meno di utilizzare qualche artificio particolare, in Sparks of Hope le possibilità sono molto più numerose. I personaggi agiscono infatti in un raggio d’azione più o meno ampio, visibile come un cerchio bianco durante le fasi di movimento – movimento che, badate bene, è possibile sono fino al momento in cui il personaggio attacca. Quando l’arma viene utilizzata, infatti, il personaggio viene ancorato a terra e non è più possibile cambiarne il posizionamento, lasciando però la libertà di completare il turno con altre eventuali abilità con tempo di cooldown o utilizzare oggetti – in ogni turno, per singolo personaggio, Mario e i suoi hanno a disposizione due azioni da compiere, che comprendono attacchi, abilità e oggetti utilizzati. Di fronte a questo immobilismo, capirete che capire come posizionare un personaggio nello scacchiere della battaglia diventa fondamentale, a fronte di una gran varietà di nemici che attaccano in tanti modi, ma ancor più importante è scoprire come sfruttare al meglio tutte le sue potenzialità.

Il sistema di progressione, in tal senso, contribuisce a modificare e far evolvere il gameplay. Avanzando di livello in livello, ogni personaggio ottiene punti abilità che vengono assegnati nel relativo albero, suddiviso in quattro rami che includono Salute, Arma, Tecnica e Movimento – è inoltre presente un quinto ramo, inaccessibile all’inizio, che viene sbloccato solo al completamento di un determinato obiettivo segreto che non vi sveliamo. Migliorando il ramo Movimento, ad esempio, è possibile non solo ampliare il raggio di spostamento del singolo combattente, ma anche imparare a gestire più scivolate, perfette per eliminare nemici minion come i Goomba o le Bob-ombe (quest’ultime utilissime anche per danneggiare i nemici), e migliorare il salto team, una particolare azione che consente al personaggio di fare un balzo in alto grazie a un compagno e raggiungere un punto più elevato dell’arena di battaglia o semplicemente più distante. Gestire ogni singolo aspetto di questo rinnovato sistema di movimento non è immediato, ma, una volta assimilato, ogni battaglia di Sparks of Hope è diversa ed è in grado di regalare grandi soddisfazioni, anche grazie alla grande varietà dei nemici e delle situazioni.

Gli scontri sono infatti strutturati in vario modo. Si va dalla classica richiesta di eliminare tutti i nemici presenti sullo scenario, a sopravvivere per un certo quantitativo di turni, raggiungere una destinazione oppure colpire determinati punti dell’area senza preoccuparsi troppo dei nemici, ma non solo. Proprio con i nemici gli sviluppatori si sono sbizzarriti, regalando a Cursa un esercito sconfinato di Rabbids di varie forme e dimensioni: colossi, cecchini, fantasmi, vampiri, arcieri, ognuno di essi ha capacità peculiari, e la bravura del giocatore risiede nella capacità di saper analizzare scenari e nemici per ragionare e intuire cosa potrebbe accadere, per poterlo prevenire o comunque contenere i danni. Legato a questo, ovviamente, rientra anche il discorso degli Spark.

Altra aggiunta di peso al combat system riguarda infatti l’introduzione degli Spark, che conferiscono ai personaggi abilità uniche da potenziare poi con le Astroschegge. Nel corso dell’avventura vengono liberati numerosi Spark, così come nel corso delle missioni secondarie, e questi diventano utili alleati in battaglia. È possibile assegnare a ogni personaggio un massimo di due Spark (non da subito, in realtà), e a quel punto può addirittura cambiare il modo di intendere il ruolo di un personaggio – senza comunque stravolgerlo. Prendendo ad esempio Rabbid Peach, la sua abilità è quella di curare gli alleati vicini, fungendo da medico del gruppo. Con i giusti Spark, che conferiscono ad esempio attacchi elementali, anche Rabbid Peach diventa molto utile in fase offensiva. Un personaggio con un basso livello di HP, poi, può trovare giovamento nell’unione con uno Spark vampiro, in grado di strappare energia vitale ai nemici. Le possibilità, grazie all’elevato numero di Spark presenti (trenta in totale), sono davvero tante, e solo dopo una buona quantità di ore (25 circa solo per completare la storia a livello più basso) si diventa in grado di osservare e sfruttare al meglio ogni scenario. Tante build, tante combo mettendo insieme la squadra perfetta, insomma gli scontri sono solo la punta dell’iceberg.

Il gameplay, comprendendo anche il discorso fatto in precedenza per le fasi esplorative, rappresenta quindi un’evoluzione netta e decisa del concept di Kingdom Battle, con elementi capaci di funzionare senza sbavature. In effetti, le uniche rimostranze che possiamo fare parlando di Sparks of Hope non riguardano il gioco, a dire il vero. Al di là di qualche insignificante bug, che non ha fortunatamente inficiato sul proseguimento, è chiaro che l’hardware di Switch venga sottoposto a uno sforzo che non sempre è in grado di sostenere, con qualche rallentamento e pop-up di troppo nelle ambientazioni. Ancora una volta, nulla di tutto questo rovina l’esperienza, ma certo fa riflettere: fino a che punto Nintendo riuscirà a spremere una console che sembra ormai arrivata al suo limite?

PUNTI DI FORZA

  • Una perfetta evoluzione di Kingdom Battle e non un semplice more of the same
  • Colonna sonora
  • Direzione artistica ispirata e variegata
  • La storia è piacevole e divertente da seguire

PUNTI DEBOLI

  • Qualche inciampo tecnico dovuto a Switch

Mario + Rabbids: Sparks of Hope è, artisticamente e concettualmente, la miglior produzione di casa Ubisoft da tanti anni a questa parte. Nulla togliere a successi commerciali come Assassin’s Creed: Valhalla, sia chiaro, ma sarebbe assurdo negare che il sequel di Kingdom Battle abbia una marcia in più, quando si parla di idee messe in gioco e realizzazione stessa del titolo. Il team di Ubisoft Milano torna alla carica con un titolo più grande e ambizioso del precedente, centrando in pieno l’obiettivo di migliorarsi. L’asticella della qualità si è innalzata ancora, e, a dirla tutta, per noi che abbiamo già avuto la possibilità di finire il gioco, iniziamo a chiederci dove potrebbe andare a parare un terzo capitolo in termini di rinnovamento. Per ora non facciamoci però troppe domande, e godiamoci Sparks of Hope, uno dei must have per Switch di quest’anno – e non solo.

Ringraziamo Ubisoft Italia per il codice review di Mario + Rabbids: Sparks of Hope.

Scritto da
Andrea "Geo" Peroni

Entra a contatto con uno strano oggetto chiamato "videogioco" alla tenera età di 5 anni, e da lì in poi la sua mente sarà focalizzata per sempre sul mondo videoludico. Fan sfegatato della serie Kingdom Hearts e della Marvel Comics, che mi divertono fin da bambino. Cacciatore di Trofei DOP.

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