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Death Stranding 2: On the Beach | Recensione

L’ultima fatica di Hideo Kojima è divisiva quanto il primo Death Stranding, essendone la copia ampliata e ridefinita.

Death Stranding 2: On the Beach mantiene le sue origini per offrire un seguito diretto spaventosamente ispirato e godibile dal punto di vista artistico, ma per diversi aspetti contorto.

Ci siamo presi tutto il tempo necessario per goderci l’avventura come si deve, e ora siamo pronti a trarre le dovute conclusioni: Death Stranding 2: On the Beach è un flop? Parliamone in questa recensione approfondita, ma priva di spoiler!

La storia di Death Stranding 2: tra emozioni e no-sense autoriale

Sono passati 11 mesi da quando Sam Porter Bridges ha salvato il genere umano dall’estinzione, andando a vivere in solitaria con Lou, il suo ex BB. Death Stranding 2 si apre senza troppi preamboli con i due protagonisti in cammino verso il loro rifugio: fin da subito davanti agli occhi abbiamo una visione sbalorditiva. Passiamo dalla cinematica al gameplay con una fluidità disarmante, così come è disarmante la solidità tecnica di questo titolo. Orizzonte a perdita d’occhio, libertà sconfinata, con la nostra allegra bambina sempre ben ancorata al petto.

Nonostante la innegabile maestosità visiva, Death Stranding 2: On the Beach presenta una storia povera di avvenimenti, immersa in una “lore” già ben conosciuta ma non in grado di aggiungere abbastanza elementi da ricreare lo stesso senso di stupore e meraviglia dell’originale. In breve, siamo felici di essere tornati tra Fragile, Deadman, Heartman e compagnia, ma questo seguito non spicca per profondità narrativa.

Fino alla fine, caratterizzata da capitoli brevi che si susseguono repentinamente, la storia di Death Stranding 2 resta fumosa e disarticolata, come se si trattasse di una raccolta episodica ambientata nel mondo di Hideo Kojima, più che di un vero e proprio seguito.

La macrostoria non ci ha appassionati più di tanto, arriva a degli estremi davvero no-sense. La personalità e l’estro creativo di Hideo Kojima hanno preso il sopravvento più di una volta, mettendo in scena siparietti e strizzate d’occhio autoreferenziali, lasciando invece da parte la sostanza. Tuttavia, ci siamo divertiti: se si riesce a soprassedere sui retcon (davvero evidenti e talvolta fastidiosi) e sull’assurdità di certe scelte narrative, Death Stranding 2: On the Beach offre tante chicche per gli amanti del franchise e della creatività “Kojimiana” in generale.

Ciò che tuttavia ci ha commosso davvero sono le microstorie dei singoli personaggi, due in particolare: Rainy (Shiori Kutsuna) e Dollman (Fatih Akin). Le musiche e la splendida regia che accompagnano i racconti del loro background ci hanno donato attimi difficili da dimenticare, nonostante tutto risulti scollegato dal resto del racconto più ampio. Ci sarebbe tanto da dire sulla caratterizzazione dei personaggi, sulla stranezza che permea un po’ tutto in Death Stranding 2, dal modo di relazionarsi ai tanti, troppi silenzi anche in seguito a momenti clou del racconto. Tuttavia, le emozioni non sono mancate: per immergersi davvero in questo immaginario ci vuole un pizzico di follia e la capacità di affidarsi completamente.

Elle Fanning e il suo personaggio, Tomorrow, riescono a essere un perno narrativo importante. Non possiamo dire lo stesso, tuttavia, di Luca Marinelli e Neil, l’esatta controparte di Mads Mikkelsen e il suo Cliff nel primo Death Stranding. Per quanto abbiamo adorato il personaggio visivamente, il suo impatto non è sufficiente e la sua storia è davvero troppo simile a quanto già visto: un riempitivo, uno sviare l’attenzione.

La storia di Death Stranding fa acqua da tutte le parti, nonostante sia fonte di ispirazione. D’altra parte, se il racconto non piace o non interessa, c’è sempre il gameplay. Death Stranding non è un film dopotutto… non ancora.

Death Stranding 2: On the Beach è un gigantesco parco giochi per il libero divertimento

Cercheremo di essere chiari fin da subito: se vi è piaciuto Death Stranding, adorerete giocare questo seguito. On the Beach, infatti, non cambia i propri punti saldi e le sue meccaniche di base, soprattutto nelle prime ore di gioco, offrendo le classiche missioni da fattorino alle quali siamo già abituati. Tuttavia, amplia queste stesse meccaniche offrendo un arsenale di nuove possibilità.

Il giocatore può (e deve, spesso) affrontare ostacoli sempre diversi, missione dopo missione, soprattutto seguendo la trama principale o imbarcandosi in alcune secondarie particolarmente complesse. Il Messico funge da tutorial, ma lascia ben presto spazio alla più vasta esplorazione dell’Australia, tutta da riconnettere tra paesaggi lussureggianti e situazioni estreme: tempeste di sabbia, inondazioni, incendi, trasporto di pizze durante la notte, salvataggi di canguri, spostamento di carichi pesanti tramite fuoristrada e hovercarri, conquista di accampamenti nemici e recupero di carichi rubati. Nonostante tutto sia ben delineato già al momento della partenza, resta la varietà e l’effetto meraviglia di vedere aprirsi su schermo scenari sempre diversi e situazioni disparate. La sostanza è ripetitiva, soprattutto se vi dedicate alle secondarie e al coltivare i rapporti con i Prepper, ma non si può dire che questo Death Stranding 2 non offra innovazione, su tutti i fronti. Dalla quality of life, alle armi, ai mezzi di trasporto non ci si annoia mai.

In questo gigantesco parco divertimenti, la personalizzazione è un elemento vincente, che però rappresenta un’arma a doppio taglio. Ogni giocatore può affrontare il viaggio come vuole (noi ad esempio, nonostante catapulte, monorotaie da ricostruire, sorgenti termali per il viaggio rapido, bare volanti e chi più ne ha più ne metta), abbiamo per lo più… camminato. Per sentire il peso del carico sulle spalle, l’esoscheletro dare supporto alle gambe, la sensazione dei vari terreni sotto ai polpastrelli, o della pioggia che ticchetta sempre più forte sui pacchi trasportati (il feedback aptico è semplicemente eccezionale). Tuttavia, demolire ogni ostacolo sulla nostra strada è semplice, sfruttando la costruzione di nuove strutture e tutte le possibilità offerte da un gameplay così ampliato e ricco di risorse, anche superflue. Death Stranding 2 non è un gioco difficile, più che altro soverchiante per le mille possibilità che offre: ma il punto è proprio questo, creare la “build” più adatta alle nostre preferenze e partire non è mai stato così dinamico e divertente.

Bellezza e ciclicità: il senso della vita e della morte

Death Stranding parla di temi universali. Di paternità e maternità, delle leggi della natura, del tempo, di quanto siamo effimeri da soli, ma eterni se viviamo nel cuore di altre persone. Al contempo, si parla di scienza, di evoluzione, di innovazione.

In questo contesto affascinante, è impossibile non fare riferimento alle CA e a tutto ciò che riguarda il confine tra mondo dei morti e… “Spiaggia”. Purtroppo, è proprio questo discorso che viene più a mancare in Death Stranding 2: On the Beach. Contraddittorio, no?

Vi basti pensare che le CA, nonostante assumano diverse forme, restano più o meno le stesse e sono tranquillamente evitabili per tutta l’esperienza (c’è addirittura una opzione per vincere a tavolino contro ai boss). E proprio i boss continuano a non convincerci per niente: si tratta di scontri lenti, tediosi, con possibilità di movimento limitata e pochi guizzi in termini di gameplay. Non abbastanza per valerne davvero la pena.

Abbiamo invece apprezzato l’utilizzo della DHV Magellan, l’aeronave che ci accompagna talvolta durante l’avventura e funge da hub di gioco (che noia però doverla continuamente riparare o non poterla utilizzare così spesso per ragioni di trama fin troppo raffazzonate). Anche il Social Strand System, il sistema multigiocatore asincrono, ci ha fatto sognare: funziona benissimo in Death Stranding 2, modificando sensibilmente il mondo di gioco. Il senso di gratitudine e di community è costante e riempie il cuore. Allo stesso modo, la modalità foto è un videogioco a sé. Abbiamo speso fin troppe ore a trovare la perfetta angolazione, sbizzarrirci con le pose dei personaggi o con le differenti luci applicabili alla scena.

Oltre alla stellare cura registica e per tutto ciò che concerne il comparto audio, ci sentiamo di spezzare una lancia anche a favore degli “easter egg”, piacevoli segretucci inaspettati che infarciscono un po’ tutta l’esperienza, strappando sempre un sorriso al giocatore. In un ripetersi di attività è ciò che serve per invogliare sempre a proseguire e ad analizzare ogni dettaglio dell’avventura.

8
Riassunto

Death Stranding 2: On the Beach è Hideo Kojima alla massima potenza. Deriva dalla totale libertà creativa e disponibilità di risorse, tanto da risultare spesso inutilmente contorto nella sua narrazione e ai limiti del no-sense. Tuttavia, offre un gameplay che non cambia la sua essenza ma si amplia in ogni aspetto, risultando più dinamico anche se fin troppo semplice da “disfare” grazie all’illimitato arsenale di risorse che offre. Un gigantesco parco giochi per gli amanti del primo capitolo: l’effetto sorpresa è scemato, ma la sensazione è quella di essere tornati a casa. Alla fine del viaggio, non si può dire che non ne valga la pena.

Pro
Tra scenari fotorealistici e musiche d’autore, artisticamente è impareggiabile Gameplay più dinamico e vario in ogni aspetto La modalità foto e il Social Strand System
Contro
La trama è sfilacciata, a volte no-sense e densa di elementi autoreferenziali Resta ripetitivo nonostante le molte aggiunte Le boss fight
  • Giudizio complessivo8
Scritto da
Chiara Ferrè

Ciao, sono Chiara. Cresciuta a pane, Harry Potter e Final Fantasy, ho da sempre una grande passione per la narrazione in tutte le sue forme. Cerco campi di battaglia, magici cappelli, lucertoloni volanti. Ho una penna e non ho paura di usarla.

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