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Bluepoint Games: l’arte del remake tra silenzio e speranze

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C’è fermento nel mondo PlayStation. Un nuovo annuncio di lavoro da parte di Bluepoint Games, studio texano ormai sinonimo di remake eccellenti, ha riacceso le speranze di milioni di videogiocatori. L’azienda è alla ricerca di un Senior Combat Designer e di un Senior Level Designer, due figure chiave che lasciano intuire l’avvio di un nuovo progetto ambizioso. Per molti fan, questo significa una sola cosa: Bluepoint è tornata a fare ciò che le riesce meglio, ovvero restaurare capolavori del passato con una cura maniacale, rispettandone lo spirito ma rendendoli tecnicamente all’altezza delle aspettative contemporanee.

Eppure, sorge spontanea una domanda: non è questo che avrebbe dovuto fare fin dall’inizio?

Una questione che punta dritta a Sony, che nel 2021 acquisì lo studio per trasformarlo in una delle punte di diamante dei suoi PlayStation Studios. Allora sembrò una mossa naturale, quasi inevitabile. Oggi, con il senno di poi, quella scelta appare più complessa, segnata da silenzi, occasioni mancate e un futuro ancora tutto da scrivere.

La nascita 

Fondata nel 2006 da Andy O’Neil e Marco Thrush, due ex membri di Retro Studios (autori del leggendario Metroid Prime), Bluepoint nasce ad Austin, Texas, con una missione chiara: elevare il concetto di remake a una forma d’arte.

Il loro primo progetto, Blast Factor per PlayStation 3, fu un piccolo esperimento che segnò l’inizio di una lunga e proficua collaborazione con Sony. Ma la vera svolta arrivò pochi anni dopo, con la rimasterizzazione di Ico e Shadow of the Colossus per PS3, due titoli che, già all’epoca, incarnavano la filosofia estetica del videogioco come opera d’autore.

Con il remake di Shadow of the Colossus per PS4, Bluepoint fece il salto di qualità definitivo. Non si trattava più di un semplice aggiornamento tecnico, ma di una ricostruzione rispettosa e visionaria, in grado di restituire al pubblico la poesia malinconica dell’originale con una veste completamente nuova. Fu il momento in cui la critica e l’industria cominciarono a guardare allo studio texano come a una sorta di “restauratore di mondi”.

Da lì in avanti, Bluepoint firmò una serie di lavori impeccabili: le edizioni HD di Metal Gear Solid 2 e 3, la Nathan Drake Collection che riportò in vita Uncharted su PS4, e persino una collaborazione con Microsoft per il port di Titanfall su Xbox 360. Ma il colpo da maestro arrivò nel 2020, quando Sony affidò loro il remake di Demon’s Souls come titolo di lancio di PlayStation 5.

Il risultato fu straordinario. Non solo per la fedeltà con cui ricrearono il mondo cupo e implacabile di Boletaria, ma per la capacità di dimostrare cosa significasse davvero next-gen. Demon’s Souls diventò la vetrina perfetta del nuovo hardware, e Bluepoint la stella nascente del firmamento PlayStation.

Il silenzio dopo il trionfo

Poi, il silenzio.

Dopo l’acquisizione ufficiale da parte di Sony nel 2021, ci si aspettava che Bluepoint fosse subito al lavoro su un nuovo progetto di peso. E invece, per anni, lo studio è sparito dai radar. Nessun annuncio, nessuna anticipazione, solo indiscrezioni e voci di corridoio.

Il motivo, almeno in parte, è emerso all’inizio del 2025, quando Sony ha cancellato due progetti live-service in sviluppo presso i suoi studi interni, uno dei quali attribuito proprio a Bluepoint. L’azienda giapponese aveva cercato di espandersi nel settore dei giochi “come servizio”, inseguendo un mercato che sembrava promettente, ma che per la multinazionale si è rivelato un investimento poco coerente con la propria identità. Il flop di Concord ne è stato la prova più evidente.

Se da un lato la decisione di abbandonare questa strategia è stata accolta con sollievo, dall’altro lascia l’amaro in bocca: quanti mesi, forse anni, di lavoro sono andati sprecati? Il talento e la sensibilità di Bluepoint avrebbero potuto essere impiegati per creare un nuovo IP o per reinterpretare un classico. Invece, lo studio si è ritrovato intrappolato in una visione industriale che mal si adatta alla sua natura di artigiano del dettaglio.

Un ritorno alle origini?

Il nuovo annuncio di lavoro è dunque un segnale di speranza. Bluepoint è tornata operativa, e non sembra intenzionata a fermarsi. Ma cosa bolle davvero in pentola? Le ipotesi sono due: la prima è quella più audace: la creazione di una nuova IP originale, la prima nella storia dello studio.  La seconda, decisamente più probabile, è che si tratti di un nuovo remake.

E qui entra in scena il nome che da anni ossessiona la community: Bloodborne. Il titolo di FromSoftware, uscito nel 2015 su PS4, è ancora oggi uno dei giochi più amati, discussi e celebrati del catalogo PlayStation. Ma è anche un gioco rimasto tecnicamente indietro, limitato dai 30 frame per secondo e da un motore che non ha mai potuto sfruttare appieno la potenza del PS5.

Se c’è uno studio in grado di riportare Bloodborne alla vita senza snaturarlo, è proprio Bluepoint. Dopo aver lavorato su Demon’s Souls, conosce a fondo la filosofia di Hidetaka Miyazaki e sa come preservare la complessità e la ferocia del suo design, traducendola in una forma visiva moderna.
Un Bloodborne Remake sarebbe una lettera d’amore all’originale e, al tempo stesso, un gesto strategico per Sony: un titolo capace di vendere console, esattamente come Demon’s Souls fece con PS5.

Tra sogni e realtà

La community, nel frattempo, sogna in grande. Nei forum e nei subreddit dedicati, si moltiplicano le teorie: c’è chi immagina un semplice remaster per PS5, chi ipotizza un remake completo, e chi addirittura sogna un doppio progetto, remake e sequel, in sviluppo parallelo.
Un’ipotesi azzardata, certo, ma non del tutto impossibile. FromSoftware ha già dimostrato di saper collaborare con studi esterni, e un ritorno di Miyazaki a Yharnam (magari come supervisore) sarebbe una notizia capace di infiammare l’intero panorama videoludico.

Un altro rumor, più pragmatico, suggerisce che Bloodborne Remake possa essere pensato come titolo di lancio per PlayStation 6. Una mossa che avrebbe perfettamente senso, considerando il successo di Demon’s Souls nel presentare le capacità tecniche di PS5. Se così fosse, Bluepoint si troverebbe ancora una volta a essere l’ambasciatrice del salto generazionale, custode del passaggio tra il vecchio e il nuovo.

Una lezione per Sony

La storia recente di Bluepoint è anche una lezione per Sony. Nel tentativo di inseguire i modelli economici del mercato, dai live-service alle microtransazioni, l’azienda rischiava di smarrire ciò che l’ha resa grande: la capacità di produrre esperienze narrative e artistiche di altissimo livello.

La forza di PlayStation non è mai stata la quantità, ma la qualità e l’identità dei suoi studi interni. E Bluepoint incarna questa filosofia meglio di chiunque altro: è uno studio che costruisce il futuro partendo dalla memoria collettiva dei giocatori.

Verso un futuro di rinascita

Oggi, a quasi cinque anni dal suo ultimo grande lavoro, Bluepoint ha la possibilità di reinventarsi senza tradirsi. Che si tratti di un nuovo IP o di un ritorno a Bloodborne, poco importa: ciò che conta è che lo studio torni a esprimere quella maestria artigianale che l’ha reso unico.

Il suo successo sarà anche quello di Sony, che può ancora correggere la rotta e riscoprire il valore dei propri talenti. Perché il futuro del videogioco non appartiene necessariamente a chi insegue le tendenze, ma a chi riesce a fondere innovazione e memoria, tecnologia e visione.

Perché si, rifare il passato a volte è il modo più autentico per costruire il futuro.

Scritto da
Lorenzo Bologna

Appassionato di tutto ciò che concerne il mondo videoludico, sono un inguaribile amante dei titoli horror e un accumulatore compulsivo di trofei (meglio se di platino). Avvicinato al medium grazie a mamma Nintendo e papà Crash Bandicoot.

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