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Longevità, quanto conta nei videogiochi?

Una delle caratteristiche che critici e giocatori analizzano in un videogioco riguarda senza ombra di dubbio la longevità. Un tema piuttosto delicato e pieno di sfaccettature che però, negli ultimi anni, ha assunto un pensiero comune: la longevità è sempre e comunque un aspetto positivo. Questo perchè siamo portati a pensare che un titolo più longevo giustifichi maggiormente i 70 euro spesi in quanto in grado di assicurare un maggior numero di ore di gioco. Purtroppo, quello che spesso non consideriamo è che longevità non coincide con qualità. E’ per questo motivo che abbiamo deciso di scrivere questo speciale, in cui cercheremo di rispondere alla seguente domanda: longevità, quanto conta nei videogiochi?

Come detto in apertura il pensiero (irrazionale) del videogiocatore prevede che un gioco longevo sia senza dubbio migliore di un titolo meno longevo. Ciò ha portato molte software house a sviluppare titoli di ottima durata caratterizzati da attività che tengono impegnato il giocatore per decine di ore. Se in molti casi il risultato ottenuto dipende da un’ottima trama e da contenuti ben strutturati, in altrettanti casi abbiamo assistito all’abuso di contenuti ripetitivi. La “bolla della longevità” ha infatti portato i giocatori a confondere la longevità con la ripetitività. E’ vero, in entrambi i casi potete contare su un gran numero di ore di gioco, ma un’esperienza ripetitiva potrebbe causare ben presto un senso di noia rendendo la longevità un aspetto decisamente negativo. Ciò è quanto sta accadendo con gli open world, il genere che più di tutti punta su un concetto di longevità errato. In molte delle recensioni dedicate agli open world (Assassin’s Creed: Valhalla, Ghost of Tsushima, Far Cry 5,  e compagnia), infatti, troviamo tra i pregi una longevità superiore alle 100 ore. Quello che però non consideriamo è che gran parte di quelle ore ono occupate da attività secondarie ripetitive che vengono inserite con l’unico scopo di allungare il brodo e giustificare il prezzo dell’acquisto. Ed è in questo modo che ci ritroviamo a compiere sezioni in cui andare dal punto A al punto B, raccogliere collezionabili o distruggere avamposti sparsi per la mappa di gioco. Attività che, di fatto, non aggiungono nulla all’esperienza di gioco ma che si dimostrano un semplice riempitivo per raggiungere la tanto agognata longevità.

Accessibiltà, è davvero la rovina dei videogiochi?

Il problema più grande è che tale sistema sembra pagare (anche letteralmente) questo sistema distorto tanto da rendere questi giochi i più acquistati dalla massa di consumatori. In questi casi, a nostro avviso, sarebbe preferibile un gioco meno longevo ma caratterizzato da contenuti diversificati e più concentrati. Provate ad effettuare lo stesso ragionamento prendendo in esame due libri. Il primo di  cento mentre il secondo da cinquecento pagine. Potenzialmente, il libro da cinquecento pagine potrebbe assicurarvi un maggior intrattenimento. Ma se a questo punto vi dicessimo che in quelle pagine si ripete più e più volte lo stesso capitolo cosa decidereste di fare? Probabilmente opterete per il primo libro, così da assicurarvi una lettura più interessante, seppur più breve. Fortunatamente non tutti i videogiochi utilizzano questi stratagemmi per aumentare le ore di gioco, preferendo la qualità dei contenuti. Nella migliore delle ipotesi possiamo trovarci di fronte a titoli longevi e qualitativamente ottimi che aggiungono varietà approfondendo sostanzialmente l’esperienza di gioco. Parliamo ad esempio di un Red Dead Redemption 2, di un The Witcher 3, di un God of War o, ancora, di un Sekiro: Shadows Die Twice. Tutti giochi che grazie ad un gameplay ben strutturato, ad una trama profonda e a missioni secondarie variegate riescono a fare della longevità un aspetto positivo. Ed è solo in questi casi che bisognerebbe osannare la durata di un videogioco. In tutti gli altri casi dovremmo semplicemente considerare la qualità dei contenuti, il vero ed unico metro di comparazione per capire se un videogioco sia o meno valido per l’acquisto. Ad oggi, tuttavia, siamo ancora influenzati dal pregiudizio della longevità.

Ricorderete ad esempio che prima dell’uscita di Cyberpunk 2077, CD Projekt RED aveva anticipato che la trama principale del gioco sarebbe stata inferiore a quella di The Witcher 3. Il motivo? gran parte dei giocatori non ha portato a termine la campagna di Geralt e compagni perchè troppo longeva. E sono stati probabilmente quegli stessi giocatori a prendere con disappunto la minor longevità della campagna di Cyberpunk 2077. Un chiaro segno di come la mentalità del gamer sia del tutto irrazionale costringendo le software house ad adattarsi al suo comportamento, preferendo la durata alla qualità. Tornando alla domanda iniziale, quindi, quanto conta la longevità nei videogiochi? La verità è che la longevità rappresenta solo uno degli aspetti valutativi di un videogioco e non risulta assolutamente una caratteristica indispensabile, soprattutto se ottenuta tramite attività ripetitive e contenutisticamente povere.

 

 

 

Scritto da
Marco "Bounty" Di Prospero

Durante il giorno dipendente presso una società finanziaria. La sera nerd e videogiocatore. Per me l'intrattenimento videoludico è una forma d'arte grazie alla quale poter fantasticare e staccare la spina dallo stress giornaliero. Cresciuto a suon di Mortal Kombat, Metal Gear Solid e Resident Evil.

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