Home Videogiochi Recensioni [Recensione] Planet of the Apes: Last Frontier – Scelte di gruppo

[Recensione] Planet of the Apes: Last Frontier – Scelte di gruppo

L’iniziativa PlayLink di Sony, una serie di videogiochi atti a promuovere l’interazione di gruppo e il divertimento, prosegue questo mese con una nuova carrellata di prodotti sempre in esclusiva PS4. Dopo Dimmi chi Sei!, che è stato regalato con PlayStation Plus per più mesi nel tentativo di attirare l’attenzione del pubblico, tocca ora a Sapere è potere, Sing Star Celebration, Hidden Agenda (bel titolo di cui vi parlerò prossimamente) e anche a Planet of the Apes: Last Frontier. Il gioco, tra i cui produttori figura anche quell’Andy Serkis (Il Signore degli Anelli, Avengers: Age of Ultron, la trilogia di Planet of the Apes appunto) maestro della motion capture ed evidentemente fiducioso in un progetto che cerca di coniugare una grande narrazione con il concetto di party game. Operazione riuscita per certi versi, fallimentare per altri. Vi spiego il perché nella recensione che trovate di seguito.

SOPRAVVIVERE O MORIRE

Last Frontier si pone cronologicamente tra gli avvenimenti di Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie e The War – Il pianeta delle scimmie, i due film diretti da Matt Reeves usciti rispettivamente nel 2014 e nel 2017. Negli avvenimenti del gioco sviluppato da Imaginati Studios, che tratta di fatti inediti e di personaggi che non hanno ovviamente alcuna ripercussione sui film, seguiamo le vicende di due gruppi di personaggi le cui vicende finiranno inevitabilmente con l’intrecciarsi. Gli umani da una parte, le scimmie dall’altra, che in una fredda regione del Nord America si contendono le provviste per riuscire a sopravvivere a quello che si preannuncia come un rigido inverno che può mettere in ginocchio entrambe le razze. E allora toccherà a noi trovare un giusto compromesso tra le sensazioni di Jess e quelle di Bryn, protagonisti attivi della vicenda la cui storia seguiremo da vicino e i cui destini verranno determinati da noi stessi.

Planet of the Apes: Last Frontier si propone infatti come un’avventura cinematica, un titolo fortemente votato alla narrazione nella quale ci verranno proposte sezioni di scelte a bivi che possono avere pesanti ripercussioni sul proseguire della storia. La rigiocabilità di Last Frontier è infatti aiutata dai più finali ideati per l’epilogo, molto diversi tra loro, dettati dalle nostre decisioni lungo tutto l’arco della narrazione e derivanti da come decideremo di gestire il confronto tra umani e scimmie. E dato che ci troviamo di fronte ad un gioco da seguire in compagnia (che però può essere fruito tranquillamente anche in single player), ecco che proprio nei momenti in cui il giocatore deve decidere quale strada prendere in un dialogo o in un’azione entra in gioco l’interazione tra i partecipanti al gioco. Nel bivio a due scelte di ogni dialogo, i giocatori possono scegliere una delle due proposte, e solo nel momento in cui entrambi si mettono d’accordo la narrazione prosegue. Se questo non accade, si ricorre al tie-break: uno dei due giocatori può decidere di prevalere sulla decisione dell’altro, a patto che questo non accada più di una volta di fila per favorire la partecipazione di tutti.

Una scelta di gioco, questa, che fa discutere. Tenere alta l’attenzione di un gruppo di giocatori, solitamente avvezzi a ritmi ben più elevati di azione in un vero e proprio videogioco, è molto difficile in un titolo nel quale l’unica azione consiste nel premere il tasto X o la levetta analogica. Ancor di più se pensiamo che Last Frontier, giocato in un’unica sessione, dura all’incirca 2 ore come un vero film, durata non sostenibile da tutti specie quando il ritmo non accelera nei momenti di calma del racconto. Fortunatamente il livello di attenzione può essere migliorato prestando l’orecchio al bel doppiaggio, ovviamente in lingua originale, e ad una colonna sonora che si sa adeguare agli ambienti, ai personaggi e ai momenti che vuole accompagnare.

TARGET SBAGLIATO?

Per quanto l’idea di realizzare una sorta di film interattivo sia sempre interessante e intrigante, vedasi le varie produzioni Telltale o Quantum Break (come il prossimo Detroit: Become Human che abbiamo già potuto provare), è difficile ricavare dalla nostra prova un senso importante per la politica dei titoli PlayLink. La linea di giochi Sony nasce con l’intenzione di favorire il gioco di gruppo, permettendo ad amici e parenti di interfacciarsi direttamente col giocatore e interagire con lui, come accade ad esempio nei quiz di Dimmi chi Sei. In Planet of the Apes: Last Frontier, questa interazione e questo intrattenimento comune non hanno minimamente la medesima efficacia di altri esponenti della serie PlayLink. La possibilità di scegliere insieme il divenire della storia non riesce a farsi mai interessante, anche perché parliamo di un gioco che fa della componente narrativa il suo unico punto di forza e di motivazione per andare avanti. Nonostante la storia intensa, non è difficile pensare che il vostro amico o il fratello che state coinvolgendo in Last Frontier si stufi presto di, sostanzialmente, non giocare insieme a voi. Per assurdo, il gioco risulta molto più godibile in solitario, accomunandosi alle produzioni citate poco fa e spartendo ben poco con altro party game. Operazione “gioco di gruppo”, quindi, ben poco riuscita e coinvolgente.

Tecnicamente parlando, Planet of the Apes: Last Frontier si dimostra all’apparenza un prodotto di grande rilievo, specialmente per una linea, quella PlayLink, tra le cui fila non abbiamo mai visto titoli puntare su un valido motore grafico per mettere in mostra la potenza di PS4. Purtroppo quello che si nasconde sotto la superficie, e ci sarà chiaro dopo pochi minuti dall’inizio della narrazione, è ben diverso dalle sue sembianze. Il gioco presenta infatti dei notevoli difetti tecnici, utilizzando texture di valido livello ma facendo i conti con frequenti cali di frame e lenti caricamenti proprio delle sopraccitate texture degli ambienti e dei personaggi. La sensazione si fa sempre più sentire nel momento in cui ci vengono mostrati larghi scorci del mondo di gioco, dove fatichiamo a vedere una sequenza con tutti gli elementi computati nello stesso istante. A questo aggiungiamo poi animazioni scattose in molti casi (i cavalli hanno movenze innaturali) oltre i volti dei personaggi dai quali non si riesce in alcun modo, se non rari casi, a percepire i sentimenti e gli stati d’animo. Non c’è alcuna traccia di motion capture, cosa che forse avrebbe fatto bene in un progetto di questo tipo che punta sulla narrazione e che vuole conferire un aspetto realistico al suo mondo. Ma ovviamente non facciamo i conti in tasca agli sviluppatori, in quest’ultimo caso. Il motion capture, per quanto splendido, è anche particolarmente dispendioso.

PUNTI DI FORZA

  • Narrazione coinvolgente
  • Più finali della storia
  • Durata di una run giusta per lo scopo

PUNTI DEBOLI

  • Il livello qualitativo tecnico è molto altalenante
  • Poco adatto a giocare in compagnia

Planet of the Apes: Last Frontier resterà sicuramente nella storia di PS4 per essere il primo gioco PlayLink a promuovere una storia a scelte multiple da giocare in compagnia di amici e parenti. Purtroppo, questo è uno dei suoi pochi pregi. Accanto ad una storia degna forse di un film e che si giostra abilmente tra momenti drammatici e d’azione, il gioco deve fare i conti con vistosi difetti visivi e con la caratteristica peculiare, quella di poter decidere l’evolversi della storia, che risulta un’attività noiosa da seguire in più giocatori. Al contrario, e quasi per assurdo, Last Frontier è decisamente migliore se giocato in solitaria, al pari di avventure simili quali i giochi di Telltale Games o quelli di Quantic Dream. Se vi capiterà di incontrarlo in sconto su PS Store, dategli una chance, vista anche la possibilità di compiere più run per scoprire i vari finali possibili e osservare tutto ciò che si può osservare nel gioco.

Ringraziamo Sony Interactive Entertainment per il codice digitale in anteprima del gioco.

Scritto da
Andrea "Geo" Peroni

Entra a contatto con uno strano oggetto chiamato "videogioco" alla tenera età di 5 anni, e da lì in poi la sua mente sarà focalizzata per sempre sul mondo videoludico. Fan sfegatato della serie Kingdom Hearts e della Marvel Comics, che mi divertono fin da bambino. Cacciatore di Trofei DOP.

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