Home Videogiochi Storia e ambientazione possono supplire a un gameplay insoddisfacente? Lo strano caso di A Plague Tale: Requiem

Storia e ambientazione possono supplire a un gameplay insoddisfacente? Lo strano caso di A Plague Tale: Requiem

L’articolo è privo di spoiler.

Ci sono alcuni videogiochi che nascono per emozionare. Se facciamo riferimento al più recente periodo, saltano subito alla mente The Last of Us (la serie TV è ormai in arrivo), Death Stranding, God of War. Pensiamo alle grandi storie dei mondi lontani di Final Fantasy, alla silenziosa e profonda narrazione di Dark Souls ed Elden Ring, senza mai dimenticare le opere di Fumito Ueda (Ico, Shadow of the Colossus, The Last Guardian). Ci sarebbero centinaia di esempi da poter citare che testimoniano quanto l’emozione sia sempre più spesso la chiave, la struttura portante sulla quale vengono costruite le fondamenta di un videogame. Inutile far riferimento a come, negli anni, tante storie videoludiche siano state poi riportate anche su grandi e piccoli schermi, con risultati più o meno soddisfacenti: il videogioco e il cinema si fondono, si avvicinano e si allontanano, nascono film e serie TV interattive (pensiamo a Black Mirror: Bandersnatch o Immortality), spopolano le avventure grafiche nelle quali il gameplay è ridotto all’osso, soccombe e l’intera esperienza non si basa più sulle “skills” e sul premere i tasti, ma sull’immedesimazione e sulle scelte da compiere per influenzare il racconto.

Questa premessa potrebbe sembrarvi scontata, ma è importante per gettare le basi del discorso e iniziare a riflettere sulla domanda che ci siamo posti: che  peso hanno la storia e l’ambientazione in un videogame? Quanto questi due elementi, sicuramente importanti, possono sopperire agli altri difetti di un titolo che riscontriamo pad alla mano? In fondo il videogame è prima di tutto un gioco, non un film e nemmeno un quadro.

A Plague Tale, un action adventure di cui recentemente è stato rilasciato il secondo capitolo intitolato “Requiem”, rappresenta un caso interessante per riflettere su questo argomento. Secondo chi scrive, il metro di giudizio sta proprio nelle intenzioni.

A Plague Tale: Requiem è un po’ dottor Jekyll, un po’ mister Hyde

La grande forza dei due capitoli di A Plague Tale, sviluppati dal team francese di Asobo Studio, risiede in un’ambientazione originale, evocativa, profondamente curata, entro la quale si muovono pochi personaggi ben caratterizzati. Se facciamo riferimento al capitolo più recente, Requiem, il titolo è in grado di sfruttare ottimamente i vantaggi della next-gen, dando vita a un mondo davvero evocativo e a un immaginario affascinante, mai visto prima in un videogame. L’idea che sta alla base di questa IP è vincente: una Provenza del XIV Secolo devastata da una minaccia spaventosa è la cornice horror dentro la quale si muove la famiglia De Rune, depositaria di un antico e pericoloso retaggio di sangue. A Plague Tale: Requiem migliora in tutto ciò che era stato il primo capitolo, Innocence, ampliando la lore del mondo di gioco e consolidando le relazioni tra i protagonisti, introducendo (pochi) nuovi personaggi bene a fuoco e tratteggiando uno scenario che è sempre e costantemente una vera gioia per gli occhi.

Le cutscenes di A Plague Tale: Innocence sono ben scritte e ben realizzate, mettono in luce dei personaggi commoventi e sempre espressivi grazie a dei visi ben realizzati. Ah, l’importanza delle animazioni… il volto della giovane protagonista, Amicia, e l’eccellente doppiaggio (l’abbiamo giocato in inglese) fanno di lei un personaggio vero, autentico, toccante e avvincente. Un’eroina imperfetta che, in un certo senso, si ritrova ad affrontare gli stessi irrisolvibili dilemmi di Joel in The Last of Us: la salvezza del mondo vale la vita della persona che ami? Che senso avrà una terra risanata, se priva di quell’unica persona che per te è tutto?

Amicia, nel suo struggente viaggio attraverso l’inferno, ha attacchi di panico, crolla più volte per poi rialzarsi grazie a una forza che alcuni chiameranno eroismo, altri follia. Di sicuro una delle protagoniste femminili più interessanti sul panorama videoludico (e chi scrive la preferisce anche ad Aloy di Horizon Zero Dawn e Horizon Forbidden West, ormai diventata simbolo della donna combattente, che tiene duro nonostante le avversità).

La magia di A Plague Tale però deriva anche da quella mano che Amicia stringe quasi ossessivamente, la mano del fratello Hugo: il bambino è il cuore dell’intero racconto e il rapporto tra i due è fatto di piccoli gesti contestuali, di abbracci, di mani sulle spalle, di teneri scambi di battute e di occhi negli occhi. Se non è emozione questa…

A Plague Tale: Requiem, come vi dicevamo, migliora in ogni aspetto il suo predecessore, tratteggiando un mondo più aperto ma curato maniacalmente, un costante quadro in movimento, e una storia che funziona e tiene col fiato sospeso dall’inizio alla fine. Tutto funzionerebbe a meraviglia se non fosse, purtroppo, per il gameplay. Se iniziamo a parlare del gameplay di A Plague Tale in generale, ci tocca aggiustare drasticamente il tiro della discussione: il bellissimo e ampio corridoio creato da Asobo Studio nasconde le inside di un gameplay spesso frustrante, impreciso e caotico, in cui si fatica a comprendere il da farsi o l’obiettivo (ok, non mi devo far scoprire dai soldati e in contemporanea devo capire come non finire divorato dai ratti: ma dove cacchio devo andare??). Alcune sezioni sono meno comprensibili di altre, non ci sono vere e proprie boss fight ma in alcuni casi Amicia si troverà a far fronte a diverse ondate di nemici. Incappare in una frustrante dinamica “trial & error” è un attimo se si è sfortunati, così la magia si spezza, l’enfasi del momento scema rovinosamente e rimane sepolta sotto troppi game over e situazioni poco credibili e anticlimatiche (quanto sono stupidi questi soldati che si fanno trucidare uno dopo l’altro?).

In misura nettamente minore, anche The Last of Us parte 2 cadeva in queste dinamiche, ma ne usciva vincente grazie a delle scelte di gameplay e narrativa più ponderate. A Plague Tale: Requiem avrebbe dovuto prendere a piene mani da questo illustre predecessore, creando delle scene ben congegnate con più “quick time events” e tagliando piuttosto un po’ di gameplay troppo stantio. La situazione è migliorata rispetto a Innocence, c’è più varietà e possibilità di salvarsi in corsa, ma la base purtroppo resta la stessa.

Come la fai, sbagli

Nonostante la sua forte impronta narrativa, A Plague Tale si impone di essere un titolo d’azione e avventura stealth. Come vi dicevamo prima, il problema sta proprio in questa intenzione. Da una parte si punta all’emozione, dall’altra non si rinuncia a un gameplay non all’altezza. Il rischio di strafare c’era, ma evidentemente il team francese ha ritenuto ancor più rischioso offrire troppo poco gameplay. L’equilibrio storia-azione in realtà è ottimo, è la qualità a non esserlo: la bilancia pende inesorabilmente verso storia e comparto tecnico, lasciando indietro il resto. C’è ancora tanto da fare per migliorare l’esperienza pad alla mano.

Di sicuro però siamo davanti a un team di talento e a una storia pregna d’amore: si nota dalla scrittura dei personaggi vecchi e nuovi, dalla varietà di situazioni e dal senso di terrore misto a stupore che si prova proseguendo lungo la strada, visitando nuove terre, solcando i mari su una nave presa in prestito e raggiunta con fatica. Il comparto tecnico e artistico, nonostante non siamo davanti a un budget o a un team da Tripla A, sono meravigliosi, non può non esserci amore in una storia dalle musiche così evocative e dal finale tanto coraggioso.

Questo non basta ancora per innalzare A Plague Tale: Requiem in alto verso la vetta, tra i grandi, ma di sicuro rappresenta un bel trampolino di lancio per ciò che potrebbe avvenire in futuro (il gioco è candidato in diverse categorie dei The Game Awards 2022, compresa l’ambita categoria Game of the Year!). Un cambiamento di intenti? Un miglioramento radicale? Non lo sappiamo, ma entrambe le strade sono percorribili e speriamo che Asobo Studio continui a evolvere e a imparare. Non ti perdoniamo, A Plague Tale, perché sei comunque un gioco che non fa sempre bene il suo lavoro, ma d’altra parte… nessuna storia d’amore è perfetta.

Scritto da
Chiara Ferrè

Ciao, sono Chiara. Cresciuta a pane, Harry Potter e Final Fantasy, ho da sempre una grande passione per la narrazione in tutte le sue forme. Cerco campi di battaglia, magici cappelli, lucertoloni volanti. Ho una penna e non ho paura di usarla.

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