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The Last Case of Benedict Fox ci prova, ma non ci riesce | Speciale

Tanto curioso sul piano artistico, quanto inefficace da giocare: The Last Case of Benedict Fox non è stato quel metroidvania che in tanti già etichettavano come sorpresa di questo 2023, sciogliendosi come neve al sole di fronte a evidenti problemi legati a superficialità e poca cura nel gameplay.

Gli orfani di Ori, la splendida serie di due videogiochi di Moon Studios che oggi invece sta lavorando a tutt’altro, non potevano non seguire con grande attenzione The Last Case of Benedict Fox. Presentato lo scorso anno con un trailer efficace, capace di incuriosire al punto giusto e rivelare quanto basta della natura del gioco, il titolo è stato ufficialmente lanciato nelle scorse settimane, anche su Game Pass. Non potevo non dargli una chance, anche perché si trovava appunto sulla mia lista del 2023. Ma forse, purtroppo, sarebbe stato meglio lasciare Benedetto Volpe al suo posto.

Il titolo di Plot Twist sorprende certamente per la sua direzione artistica, brillantemente sfruttata per rappresentare la demoniaca indagine che coinvolge il povero Fox: la morte di suo padre si tinge di mistero, in un mondo parallelo dalle atmosfere lovecraftiane messe in risalto da colori violacei e tenebrosi, oltre che ambienti che spaziano tra paludi infestate e realtà distorte.

Nulla, a parer mio, che possa contrastare la bellezza e la dolcezza di Ori, ma va dato atto a Plot Twist di aver saputo seguire una direzione artistica molto caratteristica e riuscita per l’ambito puramente estetico del gioco. Il problema nasce quando si va ad analizzare il gameplay, il maggior difetto del gioco. E non è una buona cosa, se sei un videogioco.

Come Ori, The Last Case of Benedict Fox è un metroidvania in due dimensioni (o meglio 2.5D, grazie alla tridimensionalità dei personaggi e degli ambienti, che tuttavia possono essere esplorati solo nelle due dimensioni), e ciò implica due elementi principali. Il primo è una mappa che deve essere per forza di cose contorta, ricca di passaggi segreti, vie secondarie e accessi che possono essere sbloccati solo in un secondo momento. La saga Metroid di Nintendo ne fece il suo vanto (anche in 3D con Metroid Prime, riproposto quest’anno con la remastered su Switch), e questa formula ebbe talmente successo da generare un intero sotto-genere. Il secondo elemento, imprescindibile, è la cura nei comandi, poiché il metroidvania richiede precisione e coordinazione. Elementi che Benedict Fox, purtroppo, non conosce.

Non ce ne vogliano i creatori del gioco, i quali certamente avranno modo di raccogliere i feedback per il futuro, ma giocare a The Last Case of Benedict Fox è frustrante. È pesante, è punitivo, è sbagliato. Forse il team di sviluppo sperava di dare maggiore identità al titolo rendendolo difficile, ma qui la difficoltà c’entra poco, o comunque è resa nel modo sbagliato.

Se già il sistema di movimento traballa, con salti che devono essere calcolati al millesimo di millimetro (cosa che spesso non riesce a causa di una legnosità eccessiva), i problemi sono ancora più evidenti durante le fasi di combattimento. Non parliamo tanto dei boss, quantomeno leggermente ispirati, ma degli scontri in giro per la mappa. Quando Fox incontra dei demoni, il ciclo di azioni da compiere non varia mai dall’inizio alla fine del gioco: combo da tre colpi, attacco con lama, colpo con pistola lanciarazzi per salvarsi. Ma nonostante gli attacchi prevedibilissimi dei nemici, il fatto che il nostro caro Benedetto Volpe abbia la stessa fluidità nelle movenze di Pinocchio quando ancora era un pezzo di legno, è un bel problema. E fa venire voglia di dire addio al gioco in anticipo.

Devo essere sincero: a fatica, con gran fatica, sono arrivato alla fine di The Last Case of Benedict Fox. Certo, mi ha preso più di Redfall, ma i difetti sono tanti. E infatti, nonostante sia uscito mentre mi trovavo in convalescenza post-operatoria (che continua ancora oggi), ci ho messo praticamente un mese e mezzo per completare le 17 ore richieste (per la mia partita) per arrivare alla fine del gioco – vero, c’è stato di mezzo anche Zelda: Tears of the Kingdom, che merita enormemente di più, e questo articolo è arrivato in ritardo a causa dei numerosi eventi delle ultime settimane che hanno ovviamente avuto la precedenza.

L’unico elemento che davvero mi ha convinto a mandare avanti l’indagine di Fox, e droppare momentaneamente Redfall, sono gli enigmi. Belli, interessanti, talvolta mettono a dura prova il cervello basandosi su logica, matematica e anche musica, passando poi per codici da decifrare e molto altro. Questa, senza dubbio, è la componente più riuscita di un titolo che, però, risulta davvero pesante da giocare. Per colpa sua.

Ultimo, ma non ultimo, è il problema relativo allo smarrimento generale che Fox trasmette. Ok, siamo di fronte a un metroidvania evidentemente vecchia scuola che non vuole dare troppi punti di orientamento al giocatore. Ma tra dare poche indicazioni a non darne alcuna, c’è una grande differenza. Risultato: sessioni intere di backtracking inutile alla ricerca della via per proseguire (o del prossimo obiettivo della storia), condite da quei fastidiosissimi controlli che nel platforming distruggono completamente ogni qualsivoglia desiderio di andare avanti. Ed è un gran peccato.

The Last Case of Benedict Fox è disponibile su Xbox Game Pass.

Scritto da
Andrea "Geo" Peroni

Entra a contatto con uno strano oggetto chiamato "videogioco" alla tenera età di 5 anni, e da lì in poi la sua mente sarà focalizzata per sempre sul mondo videoludico. Fan sfegatato della serie Kingdom Hearts e della Marvel Comics, che mi divertono fin da bambino. Cacciatore di Trofei DOP.

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