I Fantastici 4 sono finalmente arrivati nel Marvel Cinematic Universe, e lo hanno fatto in un modo unico. Non perfetto, ma sicuramente unico. Unico per quello che devono rappresentare, unico per la minaccia affrontata, unico per lo stile.
I personaggi sono quelli che conosciamo da una vita, se leggete i fumetti o avete avuto a che fare con precedenti incarnazioni cinematografiche del gruppo – Fant4stic del 2015 non conta, quella è un’allucinazione collettiva, non ci sono altri modi per definirlo. Eppure, molti di loro non sono come ce li aspettavamo. Non sono super: sono umani. Proprio come Superman di James Gunn, intenzionato a far esplodere la componente terrena di queste persone che combattono per il bene di tutti, anche i Fantastici 4 sono persone comuni (forse leggermente meno comuni, ma il senso è chiaro) con problemi comuni, oltre che galattici.
Dopo un’introduzione che rende giustizia al genio di Jack Kirby, finalmente omaggiato dalla Marvel anche al termine dei titoli di coda, il regista Matt Shakman non perde tempo a mostrarci il suo retrofuturistico mondo fatto di anni ‘60 e tecnologia anacronistica, tutta nata grazie al genio dei Fantastici 4. Da astronauti con una missione a visionari supereroi che proteggono il pianeta da qualsiasi cosa, senza dimenticare la sfera familiare. In effetti, Gli inizi è un film che riesce a dosare molto bene queste due dimensioni. Il simbolo di tutto ciò è Susan Storm (Vanessa Kirby), che letteralmente porta in grembo entrambi i suoi mondi. Ed è qui che c’è la svolta.
I Fantastici 4, in un debutto tremendamente e spettacolarmente familiare nel MCU, ci dicono che dosare il ruolo di salvatori dell’umanità e di protettori della loro famiglia non è affatto facile. Ci mostrano un uomo, Reed Richards (Pedro Pascal), che in altri universi è stato descritto come l’uomo più intelligente del mondo, ma che qui è anche terribilmente fragile, timoroso di non conoscere il futuro, schiacciato di fronte alle responsabilità. Una visione che lo differenzia dalle precedenti versioni, e che gli conferisce uno spessore fantastico. La tensione è palpabile in molti dei dialoghi tra Sue e Reed, a ricordarci quanto il peso delle loro scelte e della loro storia potrebbe avere ripercussioni sul pianeta. O sull’universo stesso. O ancora di più. Chissà.
Per un Ben Grimm relegato un po’ troppo in secondo piano, c’è invece un Johnny Storm (Joseph Quinn) che ne esce decisamente migliorato rispetto alla classica versione di Chris Evans, un tremendo donnaiolo senza arte né parte che oggi, per fortuna, non funzionerebbe. Viene così esplorato un nuovo lato della Torcia Umana, che lo porta a contribuire molto più che con le solite fiamme incandescenti. Ed è tutto così bello. Tutti i membri del gruppo sono amalgamati alla perfezione. Tutti si amano tra loro e noi tutti siamo portati a voler loro bene. Saranno le parole di Susan, o i timori di Reed, la voglia di rivalsa di Johnny, o la semplicità di Ben.
Sembra impossibile non fare un altro paragone con il già citato Superman di Gunn. Entrambi i film, per un curioso caso del destino, arrivano al cinema nello stesso momento e con intenti molto simili: Gunn ha dovuto costruire un universo intero già ricco a partire da un film, mentre Gli inizi deve presentare a tutti noi un gruppo sconosciuto ai più ma centrale, la cui storia, proprio come quella di Kal-El, è ricca di avventure. Laddove però Gunn ha buttato tutto nel calderone finendo con lo sbilanciare la pellicola, Shakman lo fa senza darci, giustamente, troppo peso. Le questioni importanti sono altre. È ben più grandi.
Arriviamo così a Galactus, reso in tutta la sua magnificenza da un Ralph Ineson che riesce a comunicare la potenza e la ferocia di un Dio cosmico affamato di pianeti — e non solo. È freddo, è lontano da tutto e da tutti, è inarrestabile. È, finalmente, il Galactus che tutti stavamo aspettando, sin da quando Tim Story ce lo aveva mostrato come una gigantesca nuvola di Fantozzi che viaggia nell’universo a caccia di pianeti da mangiare dietro consiglio del suo fidato Silver Surfer. E attenti a non cadere nell’errore di pensare che Gli inizi sia un film che basa tutta la sua esistenza sull’essere un cinecomic e sulla nostalgia canaglia: questi elementi sono inseriti al punto giusto, con pazienza e intraprendenza, sganciando sui Fantastici 4 una minaccia che nessuno può combattere. Certo, a meno che una certa surfista non si faccia viva.
Parliamo un po’ di Silver Surfer. La brava Julia Gardner è stata massacrata dal popolo del web per aver genderswappato il surfista argentato, e invece forse è proprio questo gender swap a rendere ancora più intrigante il legame tra il surfista e l’umanità. Non possiamo rivelarvi troppo, ma si nota chiaramente un trait d’union tra le vicende che hanno portato Shalla a diventare l’araldo di Galactus, e quelle dei Fantastici 4. Peccato solo che questo legame venga sfruttato per un cliché ormai ricorrente, e fin troppo abusato. Chi ama alla follia la fedeltà ai fumetti ne sarà soddisfatto, altri un po’ meno.
I Fantastici Quattro: Gli inizi prova a fare molto per non risultare banale o ripetitivo, e non sempre ci riesce. Anche la colonna sonora, salvo l’ottimo tema centrale di Giacchino che non ci stanchiamo mai di canticchiare, non si imprime con forza durante la visione. Ma il film riesce a divincolarsi dai canoni classici anche grazie a un suo stile unico, anche nella comicità e nel modo di rappresentare persone fuori dal comune con problemi comuni. I colori sporchi, lo stile antico, il modo di vestire: anche questo aiuta a rendere Gli inizi qualcosa di davvero unico. Proprio come i suoi protagonisti.

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