Home Videogiochi Siamo già entrati nel Death Stranding?

Siamo già entrati nel Death Stranding?

Era il 2001 quando Hideo Kojima pubblicò Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty, gioco destinato a cambiare per sempre il medium videoludico. I più giovani potrebbero pensare che il motivo di questa affermazione dipenda dal gameplay e dalla cura grafica che MGS2 vantava all’epoca. Sicuramente, dal punto di vista tecnico-grafico il titolo sovrastava la concorrenza. Tuttavia, il motivo per cui il gioco è riconosciuto all’unanimità come un capolavoro assoluto è l’aver predetto l’era di internet e dei social. Tramite lo strumento videoludico, Kojima ha anticipato l’era dei meme, in cui tutte le informazioni e le notizie sono tarate da un algoritmo informatico. Un’era in cui la distinzione tra verità e menzogna risultà pressoché nulla. Tale argomento, oltre ad essere fulcro della trama di MGS2, è stato comunicato al giocatore attraverso altri mezzi, che solo uno come Kojima poteva osare di utilizzare. Vi basti pensare che al momento dell’uscita tutti i giocatori erano convinti di impersonare Solid Snake, presente nei trailer oltre che nella copertina ufficiale del gioco. Nessuno si sarebbe mai aspettato che il protagonista sarebbe stato Raiden, mai apparso in nessun video dal momento dell’annuncio. Ancora prima del gioco, Kojima ci aveva già mentito, affondando le radici di quella che sarebbe stata la teoria dei meme. Come avrete avuto modo di capire, il buon Kojima aveva predetto la società in cui oggi viviamo, dove social come Facebook la fanno da padrona. Portali informatici in cui notizie (di dubbia verità) girano all’impazzata e in cui si giocano le sorti delle politiche mondiali (Cambridge Analityca vi dice nulla?!).

LEGAMI “SCONNESSI”

Il preambolo dedicato a Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty mi è servito a spiegarvi chi è Hideo Kojima. Ciò di cui voglio parlarvi oggi però, riguarda il gioco più recente creato dall’artista giapponese. Mi sto riferendo ovviamente a Death Stranding, titolo rilasciato in esclusiva PS4 lo scorso novembre 2019 e in su PC nel corso di quest’anno. Anche in questo caso ho avuto la sensazione che il buon Kojima sia riuscito, in qualche modo, a descrivere alla perfezione la società odierna e quello che potrebbe accadere nel prossimo futuro.

Attenzione: Seguiranno spoiler sulla trama di Death Stranding

In Death Stranding viviamo la storia di Sam Porter Bridges, un fattorino che soffre di aptofobia, la paura di essere toccati da altre persone. L’ambientazione è quella di un’America post-apocalittica, in cui un fenomeno chiamato Death Stranding ha cambiato per sempre la società mondiale. I pochi sopravvissuti si trovano in bunker da cui non escono per paura delle CA, creature ultraterrene che si trovano in un limbo tra vita e morte. Nonostante la sua contrarietà, Sam deciderà di attraversare gli ex Stati Uniti d’America per riunire tutte le UCA (United Cities of America). Solo in questo modo Sam potrà portare in salvo sua sorella Amelie, rimasta alla mercè dei terrroristi capeggiati da Higgs. Per riuscire nel suo intento, il fattorino potrà contare su BB (Bridge Baby), un neonato chiuso in una capsula ed in grado di individuare le CA. Tralasciando la storyline del gioco, raccontata a grandissime linee nelle righe precedenti, il mio intento è quello di raccontare i temi trattati dal gioco. Come affermato dallo stesso Kojima, Death Stranding basa la sua essenza sui legami e sulla connessione tra le persone. La rete chirale, che nel gioco rappresenta il modo in cui le persone riescono a connettersi tra di loro, altro non è che la metafora dei social media attualmente esistenti (Facebook, Instragram, Twitter). Se è vero che grazie ad essi si possono connettere persone distanti migliaia di chilometri, è altrettanto vero che gran parte delle nostre informazioni personali girano per il web. In altre parole Kojima vuole metterci in guardia dal modo in cui i social vengono utilizzati. Viviamo in una società iper-connessa in cui la maggior parte delle persone, paradossalmente, si sente sola.  Lo stesso Kojima ha affermato di soffrire di solitudine soprattutto dopo la triste conclusione del progetto Silent Hills. E’ questo uno dei motivi che ha spinto l’artista a creare Death Stranding: consentire ai giocatori di condividere il senso di isolamento che spesso li affligge.

UNA CRITICA DIRETTA ALLA NOSTRA SOCIETA’

Il tipo di società in cui viviamo viene descritto più e più volte all’interno delle interviste e delle mail che sblocchiamo e riceviamo procedendo con il gioco. Die-Hardman parla ad esempio di società di sorveglianza simbiontica o di sindrome da robot, giustificando in questo modo l’esistenza dei Muli. Hardman dichiara infatti che l’intero sistema pre-Death Stranding (di fatto la società attuale) si basa su un’enorme catena di distribuzione completamente robotizzata. Una rete in cui le persone sono state sostituite dalle macchine e che, nell’uomo, ha generato la sindrome da dipendenza da consegna (creando la piaga dei Muli). In effetti, anche nel mondo reale siamo abituati a ricevere ogni tipo di oggetto rimanendo comodamente seduti sul divano, senza più interagire con persone reali. Compiamo la maggior parte delle azioni e delle interazioni con altre persone online, tramite un dispositivo elettronico. Le nostre emozioni sono state sostituite dai “mi piace“, unico modo in cui una persona si sente veramente accettata e rispettata. E se in Death Stranding i mi piace producono ossitocina, dipendenza e benessere, lo stesso accade a noi tutti con i social network. Tutto ciò porta le persone ad essere sempre più isolate. L’interazione fisica non è più al centro della comunicazione, quasi fossimo tutti dei Sam Porter Bridges affetti da aptofobia. In Death Stranding, il tema dell’isolamento è rappresentato dai Prepper, persone che hanno deciso di allontanarsi dalla società per vivere da soli, senza legami a cui poter fare affidamento. E anche in questo caso le critiche di Kojima sono piuttosto chiare. Per mezzo di Fragile, in una delle interviste, l’artista parla di persone che costruiscono muri lungo i confini o che rifiutano di accogliere stranieri o rifugiati (a Trump non piace questo elemento). In modo per niente velato Kojima attacca la connessione ipocrita della nostra società e le politiche nazionalistiche che dividono l’umanità. E più continueremo a comportarci in questo modo, più il mondo post-apocalittico raccontato in Death Stranding potrebbe divenire realtà (CA a parte).

UNO SPIRAGLIO DI LUCE

Nonostante le tante critiche mosse alla società, Kojima crede in un mondo dotato di una connessione sana e genuina, che sia di vera utilità per la sopravvivenza umana. Del resto, l’autore giapponese, attraverso le parole di Heartman, racconta di come l’umanità sia riuscita a sopravvivere unendosi in gruppi, villaggi e città. Lo stesso gameplay si basa su meccaniche che incentivano l’unione ed il legame tra i giocatori. Death Stranding gode infatti di un multiplayer asincrono in cui le azioni di un utente influenzano le partite degli altri. In altre parole, durante il cammino potremo costruire strutture di varia utilità (corde, scale, ponti ecc.) che, oltre ad aiutare noi, porteranno giovamento agli altri giocatori. Immaginate la bellezza di costruire un ponte sapendo di poter aiutare migliaia di altri giocatori sparsi per tutto il mondo. Ed è proprio in questo modo che il buon Hideo vuole riunire il mondo (almeno quello videoludico) e gridare tre semplici parole: “Non sei solo!“. Lo stesso finale del gioco mostra di come i legami abbiano salvato l’umanità dall’estinzione e di come siano alla base della sopravvivenza. Probabilmente, la scena più forte è rappresentata dall’abbraccio tra Sam e Deadman. Dopo una vita vissuta con il terrore del contatto umano, Sam riesce finalmente a legarsi fisicamente a qualcuno. Quello che Kojima vuole trasmettere alla fine di Death Stranding è che solo tramite i legami possiamo sopravvivere. L’isolamento e le connessioni fittizie porteranno l’umanità all’estinzione; al Death Stranding. Ovviamente mi auguro che l’ottimismo mostrato da Kojima sia di buon auspicio per un futuro più roseo di quello raccontano nel gioco in cui la mancanza di legami ha scatenato l’estinzione del genere umano.

Dopo aver terminato (e platinato) il gioco sentivo il dovere di scrivere questo articolo. Il messaggio trasmesso da Kojima tramite Death Stranding è infatti di una potenza incredibile e degno di essere trasmesso e raccontato. E tramite questa introspezione, spero di aver creato un “Bridge Link” con voi tutti. Un saluto da uno dei tanti Sam Porter Bridges del mondo.

Scritto da
Marco "Bounty" Di Prospero

Durante il giorno dipendente presso una società finanziaria. La sera nerd e videogiocatore. Per me l'intrattenimento videoludico è una forma d'arte grazie alla quale poter fantasticare e staccare la spina dallo stress giornaliero. Cresciuto a suon di Mortal Kombat, Metal Gear Solid e Resident Evil.

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