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Enotria: The Last Song | Recensione

Belli fuori, ma brutti dentro: è forse un pensiero troppo crudo per descrivere l’Italia, un paese così complesso e variegato, ma in effetti apre un ragionamento che ben si adatta a ciò che siamo. Una terra dalla spiccatissima identità, fatta di arte e di tradizioni, ma anche di controversie, di spaccature, di tragedie grandi e di drammi quotidiani.

Da questa idea è nata anche la riflessione di Jyamma Games, come dichiarato in una recente video intervista: il team di sviluppo di Enotria: The Last Song voleva ricreare su schermo la bellezza della tradizione italiana, amatissima in tutto il mondo, toccandone alcuni aspetti ma al contempo permeando il proprio mondo di una costante sensazione di pericolo e di inquietudine. Bellezza e bruttezza. Luce e ombra.

Così nasce Enotria: The Last Song, il soulslike italiano di cui si è tanto discusso ultimamente, parlando di patriottismo, di bug, di distribuzione dei codici stampa e quant’altro.

Siamo qui per trarre le nostre conclusioni su un progetto sicuramente ambizioso. Bello fuori, ma talvolta brutto dentro.

Versione provata: PlayStation 5.

Ringraziamo Jyamma Games per il codice review.

A capofitto nel folklore italiano

La “lore” di Enotria: The Last Song è ben tratteggiata nelle sue componenti più generali. Anche per quanto riguarda la storia, Jyamma Games ha tratto a piene mani dagli stilemi FromSoftware, non fornendo al giocatore indizi espliciti per trarre le fila di ciò che viene rappresentato a schermo. C’è tanto da osservare, molto da speculare sui vari personaggi (un costante mix tra bene e male), ma chiedere di avere risposte chiare è l’errore di fondo da non fare. Sì, l’idea è un po’ quella di giocare, godersi le atmosfere e non farsi troppe domande, onde evitare di perdersi per strada.

Il mondo di Enotria è intrappolato dai dettami del Canovaccio, un copione che tutti devono rispettare. Ogni creatura ha il suo ruolo da interpretare, impossibile deviare dalle leggi scritte da Pantalone, Balanzone, Arlecchino e gli altri. Il giocatore interpreta anche questa volta un “outsider”, una sorta di fantoccio privo di maschera, e dunque l’unica creatura libera dalle regole imposte dalla magia che permea il mondo. Al fianco del muto protagonista troviamo l’ambigua figura di Pulcinella, che ci accompagna di boss in boss e da un’area all’altra.

Una delle regioni di Enotria, Falesia Magna

Tutto è ispirato al Carnevale e al folklore italiano: siamo un paese ricchissimo di tradizioni, vedere così tante idee e così tanta passione scaturire dalla nostra identità è davvero emozionante, inutile negarlo. La grande forza di Enotria: The Last Song sta nel comparto artistico, nei paesaggi che ricalcano i nostri litorali e Venezia, nel piacevole doppiaggio italiano, nelle sonorità e musiche incalzanti, distintive. Di certo il team di Jyamma sa come farsi notare e creare le giuste atmosfere. Enotria sa essere inquietante anche in luoghi in cui si recita e si danza, anche in assolate piazze divorate dal sole (comunque non mancano le zone tetre e gli oscuri anfratti). Una tavola sembra imbandita a festa, ma basta guardare un po’ più da vicino per scorgere del marcio.

Per garantire l’immersività però l’aspetto artistico non basta, deve essere necessariamente supportato da un gameplay solido, divertente, dinamico, rifinito. Tutte cose che, ahinoi, Enotria: The Last Song non riesce a offrire.

Nonostante le ambientazioni affascinanti, il level design caotico non ci ha convinti a pieno

Enotria, un gameplay recalcitrante

Pur prendendo a piene mani dai capostipiti del genere, Enotria: The Last Song non porta a termine il suo compito di “copiatura artistica” efficacemente come fatto in passato da altri titoli soulslike (vedi Lies of P, che si è distinto per un gameplay difficile, solido, e un impatto visivo davvero piacevolissimo).

Troppe volte siamo incappati in sbavature fastidiose durante la nostra prova, tutti piccoli elementi che nel complesso ci hanno messi davanti a un’esperienza caotica e disarticolata: Enotria è come un bambino che muove i primi passi, pieno di vita ma non ancora in grado di andare dal punto A al punto B senza cadere con il sedere a terra.

Ci siamo trovati spesso davanti a nemici (sia normali che boss) immobilizzati, capaci solo di subire i nostri colpi senza reagire. Le animazioni e le hitbox sono imprecise, grezze, mentre il level design non ci ha convinti del tutto. Non è raro dover girare per lunghi minuti, percorrendo in lungo e in largo una stessa area, per capire come proseguire (di solito c’è un passaggio quasi impossibile da vedere, o semplicemente bisogna tornare indietro e viaggiare tra le aree per riprendere la via, senza nessun indicatore che aiuti il giocatore a orientarsi tra ciò che è stato fatto e ciò che invece è rimasto indietro).

Lato artistico, Enotria: The Last Song è un prodotto davvero ispirato. Il gameplay però presenta diverse sbavature che rendono l’esperienza difettosa

Come sempre, cambia la terminologia ma i principali elementi soulslike restano, nonostante qualche significativo taglio all’infrastruttura generale. Il nostro Senza Maschera può saltare, ma non esiste il backstab, il colpo alle spalle, così come il peso trasportabile. Le armi sono numerose, ma la più sostanziale differenza che percepiremo durante le nostre prove sarà la velocità degli attacchi. Un po’ poco, a nostro avviso, soprattutto per chi viene da un’opera mastodontica come Elden Ring.

L’ispirazione principale sembra essere Sekiro, in quanto in Enotria padroneggiare la parata perfetta è la chiave per vincere. Ci sono tantissime possibilità per giocare con le “build”, dalle differenti maschere che infondono bonus passivi, alle magie qui chiamate “versi”, dal livellare le diverse statistiche del personaggio alle debolezze elementali dei nemici, fino al progredire nel sistema dei talenti, altri potenziamenti da equipaggiare. Tuttavia, molto sta nell’abilità del giocatore e nelle parate, che permettono non solo di minimizzare i danni, ma di riempire un’apposita barra di stagger che ci permette alla lunga di infliggere un importante colpo critico.

I boss sono ispirati e inquietanti, incuriosisce sicuramente scoprire la loro identità, tuttavia risultano molto meno interessanti pad alla mano. Troppo spesso l’esito dello scontro sembra dettato un po’ dal caso, tra animazioni scattose, bug e impossibilità di vedere con chiarezza cosa sta succedendo a schermo.

Nonostante l’ampiezza delle mappe e la longevità dell’esperienza, caratterizzata da tanti boss e una buona varietà di nemici, non possiamo garantirvi che vi divertirete a pieno: troppo spesso ci siamo trovati ad affrontare scontri lunghi e ripetitivi o aree dal level design non del tutto a fuoco.

La produzione di Jyamma Games è pregna di idee e di personalità, ma non aspettatevi troppo da questo videogioco: non si può chiedere a un bambino di affrontare una gara di triathlon, no?

6.6
Riassunto

Jyamma Games è un team fresco, inesperto ma sicuramente pieno di idee che vorremmo tanto venissero realizzate in futuro in un prodotto più solido e rifinito. Enotria: The Last Song è infatti un primo esperimento apprezzabile dal punto di vista artistico, ma inevitabilmente imbrigliato in una miriade di problemi e imperfezioni che rendono l’esperienza confusionaria e caotica. Troppi difetti per poter rivaleggiare a testa alta con altri soulslike come Lies of P o Steelrising. Resta un prodotto curioso, che ci sentiamo di consigliare agli appassionatissimi del genere.

Pro
Artisticamente curato e a fuoco Ricco di idee e longevo Tante build diverse da provare…
Contro
…che però influenzano troppo poco lo stile di combattimento e l’esito degli scontri Da rifinire a livello tecnico Confusionario e poco intuitivo nel suo avanzamento
  • Concept e Trama7
  • Gameplay6
  • Comparto artistico7.5
  • Comparto tecnico6
Scritto da
Chiara Ferrè

Ciao, sono Chiara. Cresciuta a pane, Harry Potter e Final Fantasy, ho da sempre una grande passione per la narrazione in tutte le sue forme. Cerco campi di battaglia, magici cappelli, lucertoloni volanti. Ho una penna e non ho paura di usarla.

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